mercoledì 23 dicembre 2015

Natale 1989.




Plymouth 24 Dicembre 1989
A bordo della Motonave Condor.

La viglia di Natale, Jan il nostro Nostromo, Luwala la nostra mascotte di Bordo ed io, la passammo a bordo della Condor in riparazione nel Porto di Plymouth.

Il Comandante -armatore e il resto dell'equipaggio erano andati dalle loro famiglie per le feste natalizie e a bordo per ragione tecniche eravamo rimasti in tre: Luwala la nostra mascotte , Jan il nostromo cuoco ed io. 
Quel Natale  non la posso certo annoverare tra le mie feste migliori ma senz’altro, tra i  più originali e sicuramente indimenticabile.

Jan ed io avevamo decretato che per festeggiare degnamente e da bravi cristiani la viglia di Natale, dovevamo prepararci un tacchino arrosto.

Nel nostro frigorifero, per quanto rovistassimo, non trovammo nessun tacchino, ma, insieme alle solite carni bovine e suine, solo dei polli e un’anatra congelata.

Ponderammo a lungo la possibilità di andare in un supermercato per comperare un tacchino,  aveva però cominciato a piovigginare, faceva freddo e così, di comune accordo elevammo l’anatra a tacchino natalizio.

Pensammo a lungo come preparare l’eccelso avvoltoio,  dopo tanto ponderare, decidemmo che in ogni volatile natalizio che si rispetti, ci voleva un ripieno.

Nel frigorifero della cambusa trovammo mezzo litro di salsa bolognese e dello  speck affumicato, c’era anche il resto del riso di un paio di sere prima quando Jan ci aveva preparato uno squisito Nasi Gore ,con salsa di crema di arachidi e Sambal Oeleck, la potente salsa di peperoncini rossi dell’Indonesia; altro non trovammo

»Tutto questo dovrebbe bastare.«  Decretammo di comune accordo e cosi, mentre Jan si dava da fare a tagliare un paio di cipolle da amalgamare col lo speck, il riso e la salsa bolognese, io  mi accinsi a togliere l’anatra diventata tacchino dal suo involucro di plastica.

Luwala, ben sapendo che le era stato tassativamente proibito di entrare nella cambusa,  si era posizionata davanti all’entrata e molto interessata al nostro dafffare ci osservava senza perdere mai d’occhio ogni nostra mossa.

L’avvoltoio finì nel forno a scongelarsi e mentre un Jan lacrimante, tagliava la cipolla; io cominciai a rovistare nei cassetti e armadi della nave alla ricerca di qualche decorazione natalizia.

A Bordo avevamo solo delle palline colorate e della lametta argentata ma per quanto rovistassi, non trovai un vero e proprio albero di Natale di plastica come molte navi hanno e questo naturalmente, non mi andava genio.

»Un Natale senza albero natalizio è come una birra senza schiuma!« Pensai e così, anche se piovigginava un poco, decisi di uscire a fare un po’ d’acquisti natalizi.

In città fui molto sbrigativo e veloce: Da Woolworth mi presi un piccolo albero di Natale di plastica con luci e lametta incorporate e un paio di cassette DVD filmate.

Dal macellaio un bell’osso per Luwala e dal pasticcere una torta di mele, mi pressi anche un paio di bottiglie di vino e ritornai a bordo senza neanche bermi una birra.

Nel frattempo Jan aveva non solo preparato il ripieno, ma lo aveva pure trasferito dentro l’avvoltoio ed era intento, usando un ago e spago da velieri, a cucire e a sigillargli il culo.

Pago del suo lavoro, guardò la sua opera e, visto che era ancora presto, la mise nel frigo e cominciò a pulire la cambusa.

Da parte mia, mentre Jan puliva la cambusa, avevo messo l’albero di Natale sul televisore,  un po’ di lametta argentata un po’ dappertutto in mensa agganciandola agli oblò e ai ganci nelle paratie che ci servivano da attaccapanni e, ricordandomi che qualche giorno prima nel sacco degli stracci avevo visto una bella tovaglia colorata, l’andai a prendere e la distesi sul tavolo.

Così addobbata la mensa ci sembrava una reggia.

Jan ci preparò del caffè fresco ed io misi la torta di mele sul tavolo, diedi l’osso di bue a Luwala che, avendolo sicuramente già fiutato, aveva spostato la sua posizione d’osservazione dalla cambusa alla mensa.

Imperterrita, si prese l’osso tra le fauci e trotterellando in un angolo del corridoio, iniziò a rosicchiarselo in pace.

Ci eravamo appena seduti al tavolo quando sentimmo una voce che da terra ci stava chiamando.

Era uno degli inservienti del porto venuto ad avvertirci che quella sera avremmo avuto una bassa marea eccezionale e, pertanto, ci disse di stare attenti alle nostre cime d’ormeggio.

Augurandoci un Buon Natale, l’uomo inforcò di nuovo la sua bici e pedalò via nella pioggia nebbiosa del mezzo pomeriggio.

Seduti in mensa, mentre Luwala stritolava il suo osso di bue, ci bevemmo il caffè e mangiammo mezza torta di mele, lasciando il resto per la sera.

Jan ed io, in frangenti simili, non avevamo molte cose da dirci, perciò ci guardammo uno dei nuovi film e verso le cinque, mettemmo l’avvoltoio nel forno e ritornammo in mensa a vederci un  film.

Verso le otto di sera, Jan mise le patate a cuocere, aprì una scatola di crauti rossi, li mise in pentola e, dopo aver fatto soffriggere della cipolla, ci aggiunse una bella mela sbucciata e ritornò subito in mensa.

Verso le nove di sera il nostro avvoltoio arrosto era pronto e cucinato a puntino. Jan lo aveva tolto dal forno e messo in un vassoio.

Lo aveva posato sulla porta del forno perché rimanesse bel caldo e, mentre io imbandivo la nostra tavola natalizia e Jan si preparava a decorare il vassoio natalizio con i crauti rossi e le patate lesse,  sotto l’attento sguardo di Luwala che non lo perdeva d’occhio un singolo istante, ci preparò anche una salsa di pollo preconfezionata.

Proprio quando tutto era pronto e stavamo per portare il nostro cenone di Natale in mensa, sentimmo secca una delle cime d’armeggio, ormai tesa al massimo, scricchiolare, prossima alla rottura.

»Scheiße, Chief abbiamo dimenticato le cime d’ormeggio!« Sbottò Jan e scattò verso l‘uscita.

Senza indugi, lo seguii sperando di arrivare in tempo.

La bassa marea era davvero eccezionale, la nave era scesa di almeno cinque metri dal livello della banchina, sembrava veramente che fossimo caduti in un immane buco nero e, da come si muoveva l’acqua del porto, non avevamo ancora raggiunto il livello minimo finale.

Prima allentammo le cime di poppa e poi andammo a prua.

Dalla prua potevamo guardare a filo di banchina e vedere in distanza le luci della città.

Dietro le finestre delle case, visto che non pioveva più e l’aria era tersa, potevamo vedere tante luci colorate e nel porto della Royal Navy un grande albero di Natale tutto illuminato.

Come due derelitti in un mare di luci e in un Mondo in festa, ci accendemmo una sigaretta e silenziosi ci guardammo in giro ognuno immerso nei suoi pensieri e ricordi.

Se non fossero state quelle luci, dietro le finestre e l’albero di Natale della Marina, avremmo potuto pensare di vivere in un citta fantasma.

Le strade erano semplicemente deserte, non si vedevano macchine in circolazione e il silenzio era assordante.

Noi due ce ne stavamo lì a guardare fumando in silenzio e pensavamo lontano.

»Dove diavolo è Luwala?« mi chiese Jan guardandosi in giro.

»Come? Cosa hai detto?«

»Luwala non ci ha seguiti Chief,« mi avvertì Jan.

La chiamai… non rispose… silenzio assoluto.

Non sentii nemmeno il suo muso toccarmi una gamba come usava fare di notte in coperta, per dirmi che mi era vicina.

Niente, Luwala era rimasta a poppa.

»Jan quella dannata ci sta fregando l’avvoltoio!« dissi allarmato buttando la mia sigaretta a mare.

»Allora questa sera divento un coreano,« ringhiò Jan minaccioso scendendo veloce la scaletta che dalla coperta di prua ci portava a quella di lavoro dove c’erano i boccaporti delle stive.

»Speriamo di no!« pensai mentre seguivo Jan che a grandi passi si dirigeva verso poppa.

Senza rendermi conto se che con quel “Speriamo di no” intendevo lui coreano o Luwala ladra di avvoltoi natalizi, lo seguii fino in cambusa e là ci rendemmo conto che in effetti, il nostro bel cenone di Natale era sparito.

La chiamai, ma Luwala non rispose e tanto meno si fece vedere.

»Forse è andata da te in cabina.« Disse Jan.

»No, da me viene solo a dormire; lei ha però il suo posto segreto sotto la scala che dal ponte di lancio porta a quello di navigazione.« Spiegai incamminandomi per andare a vedere.

Quella dannata cagna se ne stava lì sdraiata sulla coperta di legno sotto la scala, con il nostro cenone di Natale tra le zampe e al nostro apparire fece finta di niente.

Ci piantò gli occhi addosso scrutando attentamente ogni nostra mossa mentre, contenta e beata, annusava il culo dell’avvoltoio proprio là dove la salsa bolognese, il riso del Nasi Goren e lo speck con la cipolla pian piano fuoriuscivano.

La ladra si alzò sulle zampe solo quando noi oltrepassammo quel cerchio di sicurezza che ogni felino ha e che pertanto anche una dannata cagna, una spudorata ladra di cenoni natalizi come Luwala, indubbiamente aveva.

Con l’avvoltoio al sicuro tra le sue zampe e il naso ben fisso a pochi millimetri dal suo culo, Luwala ci guardava ringhiando minacciosa.

»Chief, penso che crauti rossi con patate lesse e uova fritte possano andare pure bene come cenone di Natale e, se proprio vogliamo, possiamo farci anche un paio di braciole.« Commentò Jan vedendo la mal partita.

»Ciò che pian piano mi sta facendo andare veramente in bestia è quello strafottente ghigno che quella stronza ha stampato in faccia! Jan, quella cagna lì, non ci sta minacciando; quella li ci prende in giro! Adesso capisco che cosa aveva in testa! È tutto il pomeriggio che ci sta spiando. In tutto questo tempo, lei non ha mai perso d’occhio l'anatra e, al momento opportuno l'ha rubata.« -Gli spiegai- »Ciò che mi fa arrabbiare è il suo ringhiare e sghignazzare  canzonatorio, quella disgraziata ride di noi.« Aggiunsi tra l’arrabbiato e il divertito.

Infatti, le cose stavano proprio così. Luwala, con quella sua ridicola posa di ladra di cenoni natalizi, con quel suo ghigno cretino e ben studiato, ci dava da intendere che per nessuna ragione era intenzionata a dividere la sua preda e che era meglio per noi se l’avessimo lasciata in pace.

Ormai sapeva che aveva vinto lei e ce lo stava facendo sapere con quella sua grottesca farsa da guerriera ladrona.

Bastò che facessimo un mezzo passo indietro e lei si ridistese sulla coperta e, tranquilla come se fosse tutta sola al Mondo, cominciò a leccare il culo del dannato pennuto.

»Questa sera, quando vieni a dormire, faremo i conti!« Ammonii la larda che ormai, sicura della sua preda, imperterrita e senza scomporsi, continuava a leccare le chiappe all’avvoltoio.

Nella cambusa trovai Jan che, tra l’incazzato e il divertito, stava cuocendo un paio di braciole.

La nostra mascotte si ripresentò davanti alla porta della mensa una mezz’ora dopo.

Guardinga, la ladra guardò cercando di capire che aria tirava, senza entrare e con le fauci spalancate, mi guardava intensamente e capii che aveva sete.

Sfido io che quella disgraziata aveva sete; l’anatra era sta ben pepata e salata, la salsa bolognese era del tipo piccante ammazza sette e pure la pancetta affumicata aveva la sua bella quantità di sale.

Riempii un secchio d’acqua, glielo misi davanti al naso e ritornai in mensa a guardare la Tv.

Solamente quando mi accorsi che voleva entrare in mensa le indicai perentorio le scale che portavano alla mia cabina. Silenziosa Luwala si girò e andò senza battere ciglio su per le scale ma, prima di andarsene mi guardò sorniona, quasi ridendomi in faccia e poi se ne andò a dormire.

Verso mezzanotte, quando pure noi andammo a nanna, trovai Luwala che dormiva sorridendo nel sonno.

Il giorno dopo, guardammo sotto le scala dove Luwala aveva il suo nascondiglio, non trovammo niente, nemmeno un chicco di riso… la ladra, si era mangiato tutto, cipolla compresa.

La Motonave Condor (Storie di uomini e di navi, Band 1) (Italienisch) Taschenbuch – 16. März 2017


  • Taschenbuch: 314 Seiten
  • Verlag: Independently published (16. März 2017)
  • Amazon Kindel
  • Sprache: Italienisch
  • ISBN-10: 1520853440
  • ISBN-13: 978-1520853444
  • Größe und/oder Gewicht: 15,6 x 2 x 23,4 cm
  • Versione cartacea ed elettronica
     

    giovedì 19 novembre 2015

    DELENDA RAQQA



    Ieri, una mia carissima amica  fu Facebook mi diceva che ormai era troppo tardi.

    Sulla sua bacheca si parlava di terrorismo, di Parigi,  dello stato di Emergenza dichiarato in Francia e dell’offensiva francese contro l’Is. Sconsolata la mia amica; sicura e salsa nelle sue convinzioni;  quasi minacciandomi,  mi scongiurava a non discutere con lei, infatti non lo faccio, non intendo nemmeno farlo, sono sicuro che con garbo; mi avrebbe graffiato, cavato gli occhi, scuoiato vivo e passato nel tritacarne.

    Invece di discutere le scrivo una letterina sperando che la legga. 

    Cara Amica. 

    Ieri mi dicevi di non spiegarti niente, ieri capii che sei trincerata dietro le tue convinzioni che poi sono quelle di milioni di cittadini Italiani ed europei.

    Ti voglio dire che tu, gli altri, voi tutti; non avete torto.

    È stata la sfrenata corsa al potere, ai soldi e alla lussuria e stata la cupidigia e l’ambiguità dei politici, quella dei Merkozy e dei Merkoholla, dei ciabattini spagnoli e malnati sinistroidi italiani a condurci in questo vicolo cieco della nostra Storia.

    È stato il servilismo e la vigliaccheria dei manzoniani italiani e il lordume del Vaticano; a calpestare i nostri valori cristiani.

    La nostra cultura occidentale, è basata sul cristianesimo e non sulle doglie mentali di una megera politica come la Laura Boldrini, la quale,  in qualità di Presidente (Presidenta) della Camera dei Deputai e la terza carica die questa malsana Repubblica Italiana  è più incline a riverenziare predicatori dell'odio islamico,  a pensare alla benstare della soldatesca afro-araba della Cecile Kyenge e della delinquenza balcanica, ladri zingari inclusi,  che alla sicurezza degli italiani stessi.

    L’Italia con un Presidente incostituzionale, proposto da un giovinastro avvelenato dalle teorie di Umberto Eco, che nessuno a eletto a capo dello governo Italiano e approvato da un Parlamento dichiarato incostituzionale  dallo stesso Presidente della Repubblica, deve tacere.

    L’attuale Repubblica Italina è la maggior responsabile per l’indiscriminato via vai di fondamentalisti mussulmani e predicatori dell’odio in Italia e in Europa.

    È inutile andare a caccia di streghe.

     L’ambiguo e  viscido comportamento della magistratura e dei politici sinistroidi italiani verso gli islamisti è comprovato dai recenti fatti,  dai discorsi e verdetti della vita politica e sociale italiana.

    Sconsolata ieri mi dicevi che ormai è troppo tardi. 

    Nix tardi, la politica; specialmente quella del PD, le religioni, tutte, ora per me passano in seconda, se non in terza fila. 

     Qui e ora si tratta che di salvare la cultura occidentale, basata sul cristianesimo e basta. 
     
    La Francia ha ragione, in questo caso  Hollande non sbaglia come il suo ambiguo e untuoso predecessre Sarkozy.
     
    Hollande ora sta dimostrando di essere un Uomo di Stato della stessa statura e Grandezza della Storia Francese e non attaccato alla giacca di nessuno, und tanto mneo a quella di Super Big Mama Angelia di Berlino.

    Dei buoni Cristiani poi,  dei buoni mussulmani, delle esperienze o delle idee di Tizio, Caio e Sempronio, non mi interessa un bel niente e tanto meno di quello che dice Vaticano.  

    Le esortazioni di Pace che ora provengono da quel letamaio sono le ultime alle quali ora do ascolto. 

    Qui e ora si tratta di salvare e preservare ciò che mi ha insegnato la mia maestra alle elementari e i nostri Sacerdoti di allora nelle ora di Catechismo negli anni 40, ne più ne meno che questo.  

    Nessun sporco marocchino, o mussulmano o islamita o sinistroide o prelato, nessun zombi presidenziale italiano che parla con quel accento cadenzato che tanto mi fa ribrezzo; potrà mai farmi cambiare idea. 

    Lui, lo zombi presidenziale, lui il muto, lui l' incostituzionale e opportunista come tutti gli altri pendagli da forca usurpatori del potere e traditori della Costituzione Italiana, con la sua ambiguità, non distruggerà mai la cultura cristiano-italiana.  

    L'attuale governo Italiano, per quel che riguarda la cultura Italiana è altrettanto pericoloso quanto i mercenari islamiti dell'Isis, soldatesca  europea inclusa.  

    Tutti i discorsi dei quaquaraquà nostrani e del Mondo non contano un bel niente, quelli sono pagati per parlare e plasmare il pensiero delle masse, quelli sono i nuovi untori, esseri malefici tanto quanto lo è Umberto Eco e la sua genia. 

    Questi manzoniani del male vivono di demagogia.  

    La guerra contro l'Is è anche la guerra contro i miliardari arabi che usano i loro soldi per distruggere il banco delle mia scuola elementare ed io questo non lo permetterò.  

    Credimi una cosa, non solo l'unico che non permetterà ai vari marocchini, beduini, arabi miliardari e scopa cammelli vari di distruggere il nostro banco delle nostre scuole elementari degli anni 40.

    Noi gli alunni delle scuole elementari di allora, non lo permetteremo ne a loro ne a quattro rinnegati italiani. 

    https://www.youtube.com/watch?v=5cZ4O4DRKDk

    domenica 15 novembre 2015

    COSI NACQUE IL TERRORE.


     Dannazione, ma la gente è impazzita o è semplicemente senza cervello?

    Le persone leggono o non leggono i giornali?

    Ascoltano o non ascoltano la radio o guardano o non guardano la televisione?

    Nel caso lo facessero, sono diventati tutti ciechi o sordi o forse senza scrupoli o incapaci di ragionare?

    Forse magari sono tutti solo indifferenti e flemmaticamente refrattari ai mali e alle brutture del Mondo e pensano solo a se stessi; forse.

    Spesso mi sembra però che la gente diventi critica e attenta solo quando si accorge che sta per perdere le chiappe, oppure, è semplicemente così indaffarata oppure distratta da non rendersi conto di quello che si dice o che succede in giro per il Mondo.

    A volte ho veramente l’impressione che la marea umana si muova solo quando vede i propri interessi in pericolo e mai, per sincero e nobile altruismo.

    Forse, sono semplicemente tutti degli ottusi e menefreghisti senz’anima, oppure non si rendono conto del male che succede ad altri.

    La brava comare, porca miseria, non senza orgoglio, mi aveva riferito che quel cretino di suo cognato e futuro sposo, dal telefono pubblico dell’Alexandra Bar a Sousa nell’Isola di Creta, le aveva riferito che volevano salpare a fare un piccolo lavoretto per Gheddafi.

    Cazzo!

    Dove credeva l’ingenua Signora che quel cretino di Berny, assieme a tutti gli altri illusi a bordo della Motonave El Castillo, volesse andare?

    Forse a caccia di aringhe nel mare Nostrum?

    Che cosa poteva rispondermi la Signora se glielo avessi chiesto?

    Che cosa mi avrebbero potuto dire i tanti esemplari cittadini, grandi esperti di tutto e di niente, gli stessi indulgenti ipocriti del nulla e del bel parlare, che diventano subito spietati razzisti non appena vedono o credono che i loro interessi siano lesi?

    Gli stessi figli di puttana cioè, che maledicono i rifugiati e sfollati politici dalle regioni slave o dall’Iran, insieme a tutti quelli dell’Iraq e da tutte le altre nazioni islamiche ricche di petrolio ma povere di rispetto civile e religioso e di tolleranza verso il prossimo.

    Che cosa avrebbero potuto dirmi, loro, che comodi siedono sui loro sofà e con far gravoso criticano Dio e l’Universo?

    Individui del genere non si ricordano nemmeno più di Lockerbie, né tanto meno di Jürgen Schumann, il pilota della Lufthansa, assassinato di fronte alle telecamere del Mondo dai sicari del premio Nobel per la Pace Yasser Arafat e poi gettato giù dall’aereo, come un sacco d’immondezza.

    Costoro; tanto meno si ricordavano più, semmai ne avessero mai sentito parlare, di Yvonne Fletcher la giovane poliziotta londinese, uccisa con un colpo di fucile sparato da una finestra dell’ambasciata libica a Londra durante una pacifica manifestazione politica nel lontano 1984.

    Tutti sapevano delle vittime del terrorismo islamico, sapevano benissimo dei massacri algerini e sudanesi, dove la popolazione d’interi villaggi era stata sistematicamente sgozzata da gruppi di fanatici religiosi.

    Tutte queste brutture umane, tutti questi cadaveri però erano molto lontani, rinchiusi nei loro televisori e bastava una leggera pressione su di un telecomando per allontanarli definitivamente dai loro salotti.

    Infatti, con assoluto disinteresse, basta premere un pulsante e la nostra responsabilità verso il prossimo sparisce dalle nostre case e svanisce nel nulla dell’etere.

    È così semplice premere un pulsante.

    La sete di fama e di potere dei politici europei poi, porta quest’ultimi, a camminare sui cadaveri e questo solamente perché la loro insaziabile ingordigia è più forte dei richiami della loro coscienza, ammesso che ne abbiano una.

    Spesso negli ultimi mesi mi ero chiesto che diavolo sarebbe successo se il terrorismo islamico un bel giorno sarebbe arrivato anche nelle nostre Città.

    Mi chiedevo come si sarebbero comportai e cosa avrebbero detto i vari sostenitori della causa islamica; i fanatici del perbenismo senza termini o limiti di crudele ipocrisia.

    Mi chiedevo che  cosa avrebbero detto, tutti i manzoniani del tornaconto politico o professionale, coloro insomma che per paura o per servilismo si rifiutavano di usare il cervello e incolpavano sempre gli altri di tutti i loro mali e magagne.

    Forse, se la sarebbero fatta sotto tutti  quanti, oppure, impauriti avrebbero guardato timorosi dall’altra parte e invocato, fremendo di sdegno e amor di Patria, azioni drastiche stile SS contro quattro pellegrini che cercavano solo di sopravvivere alla bersagliera  e  magari da clandestini nelle nostre Città, dopo essere scampati da Guerre che l’occidente stesso aveva scatenato.

     La frase della brava massaia non voleva uscirmi dalla mente.

    Ero perfettamente convinto che  non sapesse nemmeno di cosa stesse parlando o a cosa Berny alludeva; ma era per questo da ritenersi del tutto innocente?

    Soprattutto il fatto che la donna, aveva  avuto un tono d’ignorante fierezza nella sua voce, quasi un rigurgito d’importanza  e di orgoglio non mi voleva uscirmi dalla testa e che in un certo senso mi dava da pensare e mi sgomentava di non poco.

    L’El Castillo era un rottame di nave sulla quarantina d’anni che avrei dovuto riparare ma che si rivelò talmente malandata da rivelarsi buona solo per un cantiere di demolizione.

    La nave era in mano a degli incoscienti che vendevano il loro sapere marinaro a chi li pagava di più, mercenari del mare pronti a tutto anche a vendersi a chiunque, anche al terrorismo islamico pur di far soldi.

    Disprezzati dai mussulmani che a suon di dollari, li usavano per i loro turpi scopi, questi manovali del terrorismo islamico, pensavano solo in termini di denaro contante.

    Dopo tre mesi di quasi ozio a bordo della nave ormeggiata nel Porto di Sousa a Creta; ero riuscito a convincerli che, per mettere la nave in condizioni di salpare con un minimo margine di sicurezza, mi servivano costosi pezzi di ricambio.

    Dopo tante discussioni evidenziati dai fatti, ero stato incaricato di volare a Rotterdam e procurami ciò che mi serviva.

    Quel giorno, oltre al biglietto dell’aereo, mi venne anche dato l’ingaggio di tre mesi più un bonus di diverse migliaia di marchi.

    Quel Venerdì, prima della mia partenza da Sousa, nell’Alexandra bar, durante una frugale colazione a base di cappuccino, di panini e birra, tra me e il primo ufficiale che in seguito avrebbe assunto il comando della nave ci fu un interessante colloquio a quattr’occhi. 

    “Prima che tu te ne vada Chief vorrei sapere se intendi ritornare, ” mi aveva chiesto Henk, di punto in bianco.

    La sua domanda era arrivata così, tranquilla, semplice e sincera, tra un boccone e l’altro e, pertanto, meritava una sincera risposta.

    “Questo sta ancora scritto nelle stelle Henk; tutta quest’operazione è così irreale, cosi bestialmente sciocca che stento a credere mi stia veramente succedendo. Vedi, tutto quello che ci serve, lo possiamo trovare anche qui a Sousa e, se non lo troviamo, ci basta ordinarlo alla ferramenta del villaggio e in un paio di giorni lo abbiamo a bordo. Pure le cisterne supplementari del combustibile le possiamo trovarle qui nell’isola. Perché allora farle venire con un Tir dall’Olanda? Che pazzia è questa? Poi, anche se riuscissi a farla navigare, tutto sarebbe appeso a un tenue filo in modo alquanto precario. In altre parole, questa nave non andrà da nessuna parte, ormai è diventata un rottame irreparabile.”

    “Nemmeno un paio di viaggi nel mediterraneo Chief?”

    “La nave è giunta la capolinea, non è solo lo scafo arrugginito e corroso dalla ruggine che mi impensierisce, bensì anche tutti i tubi e le condotte dell’acqua di mare. Quelli sono tutti da cambiare. Infatti, i tubi, così corrosi come sono; possono cominciare a perdere acqua da un momento all’altro e lo faranno di certo quando il motore principale è in moto ed i tubi saranno sotto pressione. Voi avete già sperimentato una volta cosa significa avere una sostanziale perdita di acqua in mezzo al mare. Senza avere a bordo la possibilità di far fronte a un’avaria simile, si può anche affondare. In questi casi non importa dove uno si trova; affonda e basta. Voi siete stati fortunati perché eravate quasi in Porto e questo vi ha permesso di fermare il motore e chiudere tutte le valvole di presa mare e farvi svuotare le sentine dai pompieri; in mezzo all’oceano di pompieri non ne troveresti proprio; là fuori o si galleggi o si crepa.”

    A dire il vero ero ormai stanco di ripetere sempre le stesse cose, di fare sempre le stesse esortazioni, di proporre sempre le stesse riparature, me ne volevo solo andare via e basta.

    Volevo andarmene via e per un paio di giorni, rintanarmi a Rotterdam nella Pensione Algarve dove, e di questo ero sicuro, mi sarebbe arrivata la notizia della cancellazione dell’operazione.

    Forse sarei ritornato per un paio di settimane a casa dai miei per poi proseguire alla volta di Bremen in Germania, per ora però mi bastava andarmene via senza voltarmi e non pensare più la nave. 

    Che cosa avremmo potuto ancora dirci noi due, lui il marittimo senza scrupoli politici e sociali, contrabbandiere d’armi e probabile manovale del nascente terrorismo islamico ed io, il marittimo senza Patria e senza Bandiera?

    Lo osservai in silenzio, mentre si arrotolava una sigaretta e ordinava due birre a Stella la nostra piccola fata dietro il banco del Bar e non sapevo veramente raccapezzarmi di lui.

    Cosa potevo pensare di quest’uomo sulla quarantina che mi sedeva acconto e che sembrava appena uscito da qualche casa del vicinato per prendersi un caffè?

    Henk era un padre di famiglia, fiero olandese e fedele alla Regina, ma anche un contrabbandiere d’armi e probabile manovale dei terroristi palestinesi.

    Cristo! Che miscela di sentimenti e d’interessi erano rinchiusi in una sola persona!

    Henk era sì un patriota ma lo era a modo suo. Era fiero del suo Paese,  e  il resto del Mondo in perfetto stile sciovinista di stampo olandese,  non gli interessava proprio, se non per guadagnarci sopra.

    » I politici fanno la stessa cosa, non vedo perché non lo debba fare anch’io. «

    Questa era la sua dialettica, la sua unica logica di pensiero. Tutti gli altri i vari colpevoli e le loro vittime non erano affari suoi; per lui non esistevano né gli uni né gli altri. Lui vedeva solo il suo ingaggio e i soldi che ne scaturivano e basta.

    Questo era l’olandese Henk; né più né meno che questo.

    Secondo lui, come lui guadagnasse i suoi soldi, erano esclusivamente affari suoi.

    Lui amava la sua terra voleva bene alla Regina e basta.

    Il suo sogno era di racimolare i soldi sufficienti per comprarsi una nave e per questo, nella sua versione del lecito e del giusto, dove il fine giustifica il mezzo; quello che lui faceva, era giusto e legittimo.

    Avrei dovuto condannarlo, gridargli in faccia il mio sdegno, ma non potevo farlo  per il semplice fatto che anche se lui era il manovale d’interessi politici e finanziari a me sconosciuti, io, in sostanza ero il suo manovale.

    Ero io colui che con il mio sapere e capacità tecniche stavo cercando di rimettere in carreggiata El Castillo, affinché lui potesse compiere il suo turpe lavoro.

    Infatti, come lui era il braccio destro di certi interessi criminali internazionali io, nel mio piccolo ero il suo braccio destro, il suo presupposto, quello che avrebbe dovuto permettergli di portare a termine la sua criminale operazione. Ed era proprio per questo fatto che non potevo tirare la prima pietra.

    Volessi pero trovare una scusa per me e la mia determinazione di voler riparare la nave e di fornire delle armi al popolo bosniaco e albanese; alla luce dei fatti che davanti ai riflettori e telecamere del Mondo si svolgeva in Iugoslavia, ciò non mi sarebbe stato affatto difficile fare.

    Non ero io quello che aveva rotto tutte le leggi sociali del Mondo, non era lui che aveva perpetrato tutti quei massacri e quei macelli di vite umane, di donne e di bambini. Personalmente, come pure lui, anch'io consideravo il blocco navale contro la Iugoslavia, un crimine che aiutava esclusivamente i serbi, i serbo-croati e qualche piccolo eroe della domenica croato a continuare nei loro criminosi interessi politici.

    Trovavo gli inutili discorsi del Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e del suo “passe par tout“ asiatico, un insulto all’umanità.

    Secondo il mio credo tutti i popoli hanno il diritto di difendersi e, se necessario, di morire con le armi in pugno e questo sacrosanto diritto, lo avevano anche i bosniaci, gli albanesi e i kosovari.

    Se avessimo avuto a disposizione una nave sicura, quel viaggio lo avrei fatto anch’io e questo  non solo per i soldi ma soprattutto per pura convinzione politica e dannazione, Henk ed io con Berny e gli altri due marziani a bordo, avremmo forzato quel ridicolo blocco navale privo di un mandato forte.

    Eccome lo avremmo fatto, eccome che ci saremmo riusciti a farlo!

    Quello che invece mi disturbava e non poco, era la sua intenzione di eseguire qualche piccolo trasporto navale per Gheddafi e il suo socio, il palestinese Arafat.

    Che cosa credeva di poter fare Henk credendo di passarla liscia, nella sua ingordigia di guadagno a tutti i costi? Trasportare armi ed esplosivi per eventuali atti terroristici in Europa forse?

    Magari dell’altro esplosivo per i terroristi baschi in Spagna, oppure per far saltare in volo un altro paio di aerei come il volo Pan Am sulla Scozia? Oppure per altri attentati come alla discoteca “La Belle” a Berlino? Oppure, perché no, un'altra Sinagoga o una stazione della metropolitana come a Parigi, o un'altra stazione ferroviaria come quella di Bologna?  Magari strada facendo, si sarebbe potuto  rifornire di armi e di esplosivi i terroristi Corsi e quelli dell’IRA, non è vero?

    Il tutto, naturalmente in nome dei soldi e della libertà.

    La libertà dei terroristi, dei rivoluzionari e degli anarchici dei dittatori.

    Dannazione, non importa come la girassi e la rivoltassi, non mi sentivo di condannarlo senza la condizionale.

    Non lo potevo fare, potevo capirlo;  ma mi rifiutavo di partecipare a operazioni simili, perché altrimenti assieme a lui avrei dovuto condannare me stesso e con noi, l’umanità intera.

    Non siamo forse noi, le Nazioni Occidentali con i nostri interessi economici che creiamo i presupposti per queste guerre e carneficine?

    I politici del Mondo che stingono la mano a un mandante di assassinii come Yasser Arafat e che poi gli danno pure il Premio Nobel per la pace, non sono forse tutti come e peggio di Henk o di me?

    Dove diavolo esiste la differenza tra Henk e tutti i politici e perbenisti del Mondo anche nostrani che, dopo l’attentato di Lockerbie in Scozia, denunciarono il bombardamento dei palazzi di Gheddafi come un crimine contro l’umanità, ma non persero una parola di condanna né per Lockerbie né tanto meno per l’attentato alla Discoteca “La Belle” a Berlino?

    Tutti quelli che a suo tempo stettero zitti quando videro cadere il cadavere di Jürgen Schumann, il pilota della Lufthansa dalla cabina della Landshut, ucciso a sangue freddo davanti alle telecamere di tutto il Mondo dai terroristi palestinesi, su diretto ordine di Yasser Arafat, non sono forse uguali a Henk e me? Prigionieri dei loro interessi e delle luci delle loro città?

    Dannazione, dov’è la differenza?

    Tutti noi dovremmo ora ascoltare l’opinione dei bambini del Mondo, sia da una sia dall’altra parte della barriera politica ideologica e religiosa.

    Dovremmo ascoltare le accuse dei bambini Iugoslavi, dei bambini della Palestina, dei bambini d’Israele, di quelli dell’Angola e del Mozambico, dovremmo ascoltare i racconti e i pianti dei bambini soldato nel Congo e non solo quelli, ma anche il pianto dei bambini sudamericani o asiatici; perché solo loro ci possono accusare e giudicare e assieme a noi, l’umanità intera.

    Infatti, noi tutti, noi cristiani e noi mussulmani, noi cittadini di ponente e di levante, noi tutti insieme non siamo altro che tanti Henk senza nome e senza faccia, prigionieri dei nostri interessi, colpevoli e allo stesso tempo vittime dei nostri intrighi ma, soprattutto, senza alcuno scrupolo o pudore, imperterriti e quasi refrattari al dolore altrui e noncuranti della morte di tanti bambini; noi tutti,  non siamo altro che gli artefici e i distruttori delle nostre stesse culture e delle nostre rispettive civiltà.

    Solamente i bambini del Mondo potrebbero incriminarci e accusarci. Tutti gli altri, i cosiddetti esperti, i civilizzati, i devoti cristiani e islamici, i bravi europei, asiatici e americani che siano; dovrebbero avere tutti la compiacenza di tacere e di vergognarsi. Tutti costoro dovrebbero inginocchiarsi e pregare Iddio che non cambi pagina, perché se dovesse veramente farlo e tipi come i fondamentalisti islamici dovessero prendere possesso delle nostre città, allora ne vedrebbero veramente di cotte di crude.
     
    Sembra scrito  oggi, ma questo non è che un piccolo assaggio tratto dal mio libro. Il Caso della MN El Castilo. Ein Haufen von ´Vollidiote ist am Werk. Pubblicato nel 2004 e per ora fuori circolazione.