domenica 9 giugno 2019

Il Re nudo





 Rilievo sul Duomo di Colonia



Dal Manoscritto:”DIE WERFT SLK Komarno” 2005

© Franco Parpaiola

La Leggenda del Re Nudo
 

I Comandanti Nautici sono i più pericolosi prototipi di Homo sapiens, sapiens che io conosca. 

I gondolieri del mare sono quanto di peggio, di più insidioso e infido, di ridicolo e presuntuoso, possa esistere in questo nostro Mondo, in diversi. 

in molti, in troppi casi, i Capitani Nautici della Marina Mercantile, si portano anche una lunga sfilza di morti sulla coscienza. 


Forse solamente la squallida mentalità di un politico italiano, la si può comparare a quella di diversi Capitani nautici di nave mercantile,e questo sotto qualsivoglia Bandiera in ogni angolo di mondo e di mare.


Naturalmente ci sono le eccezioni, inverosimile come a prima vista possa sembrare, ci sono pure dei Comandanti nautici con la testa sulle spalle e il cervello al posto giusto ben piantato anche nel DNA, e non infilato  nel proprio portafoglio con un patologico senso di infallibilità.


I Comandanti di tale pasta sono miei amici. 


A ragion del vero devo dire che non ho molti amici, pochini direi, comunque sempre meglio pochi amici, ma buoni, che avere una banda di infidi, ambigui ed irresponsabili nautici tra i piedi. 


Ogni tanto anche i miei amici danno i numeri, ma sempre e solo quando si sono bevuti un po’ di birra, dato però che a bordo non beviamo alcoolici e non abbiamo quasi mai il tempo di scendere a terra, li incontro solo in condizioni normali, in mare, il che naturalmente rende la mia, ma soprattutto la loro vita, molto più facile.


Il mio amico Helmut di Bremerhaven, Comandante marittimo che con me si trovava al Cantiere Navale della SLK a Komarno in Slovacchia, sulla riva destra del Danubio, era uno di quelli, ligio al dovere, preciso nelle sue affermazioni e sicuro del suo lavoro. 


La Società Armatrice per la quale lavoravamo ci aveva affittato un appartamento di quattro stanze non molto distante dal cantiere e la nostra giornata era tutta casa e lavoro. 


Qualche volta però uscivamo, anzi, dopo la nostra giornata lavorativa non tornavamo neanche a casa e, girando da una Birreria all'altra, preferivamo “stare usciti” e rintanare poco prima di Mezzanotte piuttosto che farci due volte 59 scalini in una sola serata., per salire su al quarto piano dove abituavamo.


Quando però Helmut si era incamerato una decina di Birre, allora anche lui cominciava a dare i numeri, diventava il menestrello di sé stesso e non la smetteva più di decantare le sue gesta e capacita di Argonauta dell’acqua salata.

In momenti del genere mi mettevo sordo, né ascoltavo, né rispondevo, pensavo alle mie cose e bevevo la mia birra senza dargli retta. 


»Io parlo e tu non mi ascolti, « Brontolava quando si accorgeva che stava parlando con il muro.

»Racconti e ripeti sempre le stesse idiozie, ormai le conosco a memoria.«

»Allora non mi credi. Non è vero?«

»Ti credo; Helmut, ti credo.«

»Se mi credi, perché non ascolti?«

» Perché ho già sentito queste storie la settimana scorsa, il mese scorso e pure l’anno scorso e pure un paio di anni fa, per di più stavo pensando al sistema del combustibile che ci vogliono costruire a bordo, c’è qualche cosa che non mi quadra e penso che domani porterò delle modifiche per renderlo più versatile ed efficiente. «

»Senti Franco, per favore non ti arrabbiare, ma ti devo dire una cosa.«

»Bene, ascolto.«

»Vedi Franco il cantiere ha già costruito una cinquantina di navi per diversi Armatori tedeschi, e nessun Capitano si è mai lamentato dei sistemi. «

»Ti credo sulla parola hai perfettamente ragione, difatti è così.«


Helmut non capì la mia sarcastica risposta, e comincio a decantare le sue capacità tecniche e quelle dei suoi colleghi. 


In momenti simili, come sempre, chiedevo il conto e, facendogli notare che ormai era tardi, gli facevo capire che per noi era giunto il momento di andarsene a casa.


Dalla birreria dove noi ci trovavamo a casa nostra, c’erano sì e no, tre minuti di cammino, il guaio quella sera poco prima di Mezzanotte, era che il Ring Bar si trovava in una posizione strategica e invitante, proprio davanti a casa nostra, ed era ancora aperto. 


»Qui, uno può camminare in mezzo alla strada e non gli succede niente.« Sbottò Helmut non appena fummo in strada.


»Rallegratene, così non corri pericolo di finire sotto un automobile.« replicai secco. 


»In Germania una cosa simile non te la puoi permettere, finiresti subito all’Ospedale o peggio ancora al Cimitero-guardati le Automobili,«  -continuo a filosofare il mio arguto amico mentre pian piano ci incamminavamo verso casa- »ai notato quei rottami su quattro ruote? Le poche macchine tedesche che vedi per strada son di sicuro tutte rubate.«
»Non necessariamente, qui non siamo in Polonia.«
Ribattei senza approfondire il discorso.

»Tutto è così buio e grigio, le strade sono deserte e poco illuminate, io qui non poteri vivere, e tu? «

»La gente da queste parti è la stessa del resto del mondo, come quelli della DDR, però anche loro qui sono da poco usciti da una dittatura comunista, si stanno evolvendo verso un libero mercato e le cose cambieranno presto in meglio, anzi, stando a quanto si vede sono già, e continuano a cambiarsi di bene in meglio, ogni giorno che passa.« 


Le strade, quel martedì sera erano veramente deserte, ma poco prima della Mezzanotte non lo erano forse in tutte le Città di Provincia di questo mondo? 


A Bremen poi, dopo la chiusura dei negozi il centro città si svuotava in poco meno di mezz’ora in modo addirittura pauroso, a volte mi sembrava che la gente non stesse rincasando, ma che letteralmente scappasse dalla città, come per sfuggire ad un incombente pericolo. 


Soltanto gli impavidi e i coraggiosi, gli arditi della notte erano in giro e vagavano da Bar a Bar alla ricerca di Dio solo sa cosa. 


Spesso , quando ero giovane e bello, anch’io mi cimentavo in queste escursioni notturne alla ricerca di qualche cosa, a distanza di tanti anni però, non ho ancora capito cosa andassi cercando, di sicuro so solamente dire che era bello cercare. 


Anche il numero dei “cercatori” oggi giorno si è drasticamente ridotto, difatti con il 10% di disoccupati, in quel di Bremen pochi hanno ancora la voglia o la capacita finanziaria di andare a cercare, chissà poi cosa. 


Infatti, l’unico parallelo tra le due città lo vedevo nel fatto che, mentre a Komarno le strade erano deserte perché l’indomani mattina la gente doveva andare in cantiere a lavorare per costruire le stesse navi in gran parte pagate con incentivi Federali per incrementare l’Industria e l’occupazione delle Länder Costiere, in Germania, a Bremen, Bremerhaven e in altre Città portuali lungo la costa sia del Mare del Nord, sia del Mar Baltico, le strade erano deserte perché la gente , non avendo un lavoro, non aveva di conseguenza i soldi per uscire di casa a farsi un paio di Birre, e non certo perché voleva vivere alla spartana. 


I posti di lavoro della cantieristica navale erano stati esportati in gran parte nell’Estremo Oriente e quelli della Marina Mercantile Tedesca, dall’Europa orientale nelle Isole dell’oceano Pacifico. 


In pratica coloro che con i loro contributi fiscali avevano permesso a Berlino di incentivare l’Industria dei trasporti marittimi con tutti gli annessi e connessi del caso, grazie all’ottusità dei politici e il beneplacito dei sindacati orano erano disoccupati. 


Era proprio grazie a questo melmoso intreccio di interessi politici e finanziari che uomini come me e Helmut ora, grazie alla loro grande esperienza, venivano impiegati come ispettori di Costruzioni Navali in giro pel Mondo, mentre in Germania un Cantiere Navale dopo l’altro, come stava succedendo al Cantiere Vulkan di Bremen, dichiarava insolvenza per mancanza di lavoro. 


Avrei voluto ricordargli questi fatti, considerando però che era ormai praticamente impossibile cavar fuori dal suo cervello una frase sensata, preferii starmene zitto. 


In quei pochi minuti, camminando piano, eravamo arrivati nelle vicinanze del Ring Bar che era ancora aperto. Forse perché Helmut era un tantino malfermo sulle gambe, e senza volerlo aveva preso quella direzione, o forse anche perché da buon vecchietto non se la sentiva ancora di farsi quattro piani di scale per arrivare a nostro appartamento, fatto sta che si incamminò verso la piccola locanda che vantava anche una delle migliori cucine a conduzione casalinga di Komarno. 


Nel locale, mentre al piccolo banco della birra sedeva un singolo avventore, quasi i tutti tavoli erano collegati insieme in un'unica tavolata, e una trentina di persone sui vent’anni ascoltava ciò che un anziano signore, in piedi a capotavola stava loro dicendo. 


Venni più tardi a sapere che i giovani erano studenti del Liceo e stavano festeggiando l’anniversario delle Fondazione della loro locale associazione studentesca, nata dopo la caduta del Regime Comunista e la divisione della Cecoslovacchia in due Stati. 


Noi due ci sedemmo al banco e Karl, il cameriere dietro il banco, ci servi subito due Birre Pilsner Urquell alla spina che, senza mezzi termini, senza sé e senza ma, è da considerarsi una tra le più squisite, se non la migliore birra del mondo intero. 


»Questa Birra non è per niente male Franco, ma non tanto buona quanto la Birra Tedesca. « 


In quel preciso istante ne ebbi abbastanza. 


»A questo mondo c’è qualche cosa di dannatamente storto Helmut, vedi, o l’imperiale decreto sugli ingredienti della birra sono la truffa del millennio, oppure i maestri birrai in quel di Pilsen ci stanno prendendo in giro,« -replicai con dosata e solenne lentezza a Helmut che alle mie considerazioni, incredulo alle sue orecchie, aveva cominciato a sgranare gli occhi- »perché vedi,« -continuai scandendo ogni parola- »Com’e possibile che a noi, giurati bevitori di birra, dopo un paio di giorni di degustazione più o meno proficua di questa nobile fermentazione, ci si gonfia la pancia e ruttiamo e scoreggiamo come i maiali? Come mai dico io, ciò non ci succede in Germania o nelle altre parti del mondo, ma solo qui in questa terra da dove la birra di Pilsen è partita alla conquista del mondo? Potrebbe forse darsi che i maestri birrai in Germania non siano poi tanto capaci quanto il mondo crede che essi siano, come loro vogliono farci credere di essere? Pensi che ciò sia possibile? Comparando la birra che beviamo in Germania a questa che beviamo ora, la possibilità che i maestri birrai tedeschi invece di essere tanto maestri siano invece nient’altro che una banda di raffinati alchimisti, che ci propinano acqua colorata con il sapore di birra e una percentuale di alcol, sembra indubbia e non è poi così sballata, non ti pare? Non pensi che alla luce di queste deduzioni, il Decreto sugli ingredienti per la produzione della birra, emanato da Wilhelm Secondo e da suo Fratello Ludwig in Baviera nel 1516, che dopo tutto è da considerarsi il primo vero decreto sugli alimentari emesso in Germania, potrebbe essere tutta una farsa? Cosa ne diresti se la favola del Re nudo si manifestasse in tutta la sua malvagia e perfida comicità proprio qui e ora, a Komarno, al Ring Bar in un bicchiere di Birra Pilsener Urquell?« 


»Alla tua salute, scemo.«

»Alla tua, Helmut.«

»Mi stai prendendo in giro non è vero? Come mai ti viene in mente di screditare il decreto del 1516 che regola la produzione della birra in Germania.« Mi chiese poi, non proprio sicuro del fatto suo.

»Perché?«

»Perché? Cosa diavolo intendi con: Perché? Hai il coraggio di diffamare il decreto del 1516 del quale noi Tedeschi giustamente andiamo fieri e tu mi chiedi perché? «

»Quella che tu qui stai bevendo è una Pilsener Urquell alla Spina Helmut.«

»E con ciò?« Sbottò quello piuttosto incavolato.

»Che diavolo intendi dire, con il tuo: E con ciò?«- gli scimmiottai dietro- » Tutte le birre che si autodefiniscono Pils dovrebbero essere prodotte così, altrimenti non si potrebbero denominare tali, non ti pare? «

»Quando tu cominci a parlare per mezzi enigmi, e cominci a gironzolare attorno a qualcuno, di solito significa c’è qualche cosa che bolle in pentola, e che aspetti solo il momento giusto per rifilargli una martellata in testa, si può sapere dove diavolo vuoi arrivare questa volta Franco?« 


»Cerco solo di spiegarti che con tutte le probabilità quella che noi stiamo qui bevendo è la vera birra, scaturita dall’arte dei veri Maestri Birrai, se ciò e vero, ciò vuol anche dire che il Decreto del 1516 è una bufala, perché non corrisponde all’arte di produrre Birra, ma solo agli interessi commerciali bavaresi di allora, che per una ragione o per l’altra il mondo ha preso come verità assoluta. Se quello che dico è vero, allora, noi, i bevitori di birra di tutto il mondo abbiamo creduto ad una favola bavarese, ben orchestrata, che si è prima propagata in tutta la Germania e da là, nel mondo intero.« 


»Tu sei pazzo, sei impazzito, ti ha dato di volta il cervello, tu a forza di cercare di migliorare l’efficienza di quelle navi ha perso il contatto con la realtà, sei fuori dai binari, stai scherzando non è vero? «


»Ti sembra veramente che io stia scherzando? « Gli chiesi, mentre il povero Helmut, completamente spaesato dalle mie affermazioni, sembrava non capire più un accidenti. 


»Quello che cerco di spiegarti è il fatto che la produzione di questa birra, e molto più costosa di quella che noi siamo abituati a bere in Germania, e che molto probabilmente già allora qualcuno aveva pensato di aumentare le proprie entrate tagliando sui costi di produzione, facendo passare i suoi prodotti per alta qualità. A quel tempo la gente era ignorante, era timorosa di Dio e fedele al Kaiser, credeva, era semplice, sincera, rozza e paurosa, temeva la maledizione divina, erano i tempi delle inquisizioni e nessuno voleva finire arrostito per un boccale di birra, non ti pare? Ed è proprio in quest’ottica che dobbiamo vedere la leggenda del Re nudo alla quale tutto il mondo si è ormai abituato. Il Decreto è stato dettato dai commercianti che volevano guadagnare di più risparmiando sul Malto e sul Luppolo, e il Kaiser firmò perché gli andava bene di firmare, non perche gli interessasse cosa beveva la plebe a quel tempo, e poi sai una plebe mezza ubriaca è sempre meglio di una attenta e guardinga. Ubriachiamoli tutti, esultarono di sicuro i commercianti di allora, oggi ubriachiamo la Germania e domani il mondo intero. Capisci dove voglio arrivare Helmut, molto probabilmente la Germania per prima e il mondo dopo, sono caduti della fregatura più grande del millennio e nessuno fin ora se n’è accorto, io sì,< -dissi sorridendogli con un sorriso satanico stampato in Faccia; " hai finalmente capito, ieri la Germania e domani il mondo intero, e quasi ci erano riusciti.«


»Perché poi solo quasi?« botto Helmut irritato, dato che ormai non capiva più niente.

»Per il semplice fatto che la Germania è appena inciampata in un bicchiere di Birra Pilsener Urquell, hai capito ora? La Germania e il mondo intero si sono lasciati fregare dalla baggianata del millennio, la gente però si sta svegliando, e prima o poi prenderà il Re Nudo a calci nel sedere, e dopo Helmut, come a mettiamo con il dopo?« 


Helmut non mi rispose, stava lì mezzo afflosciato al banco e mi guardava con occhio semi spento, cercava di coordinare le sue idee mentre la sua baldanzosa arroganza di prima era svanita, e non sapeva più che pesci pigliare. 


Sembrava si stesse chiedendo come mai mi permettevo di attaccare il sacro decreto del 1516 e lo volessi mettere a tutti i costi sul banco degli imputati. 


Nel suo mondo illusorio fatto di aspirazioni di supremazia e di inebrianti idee accompagnate da quell’infallibile senso di superiorità che attanaglia i più labili, e li fa diventare refrattari e sordi a qualsiasi richiamo al buonsenso civile, le mie idee sul Decreto del 1516 che regola la produzione e la qualità della birra, erano delle pure eresie.

Blasfemie e veri i propri vilipendi alla sacra birra tedesca della quale io stesso ero un devoto e fiero ed eccellente adoratore.

Secondo lui, e di questo ero sicuro, eresie simili erano solo punibili e scontabili sul rogo, e da come mi guardava già vedevo le fiamme purificatrici divampare nei suoi occhi. 


Quella sera il suo cervello non funzionava più a come al solito, e per quanto cercasse una risposta, una sorta di contro argomento da contrapporre alla mia provocazione, vedevo che non riusciva a concepire nessun contro argomento plausibile. 


Pian piano vidi le fiamme che fino a pochi secondi prima negli occhi suoi sfavillavano vivaci e purificanti, spegnersi lentamente e lui rimase lì afflosciato sul banco della birra con la testa che gli girava e non sapeva più cosa dire o cosa fare.

In silenzio si alzò e, leggermente barcollando, si incamminò verso i gabinetti, ritornò poco dopo e con un semplice saluto accompagnato da un sorridente, »a volte sei proprio una bestia.« S’ incamminò verso l’uscita. 


Solo il pensiero di dovermi fare otto rampe di scale per arrivare al nostro quarto piano mi tenne ancora inchiodato nel seggiolone al banco del Bar e così ordinai un'altra birra. 


»Di sicuro non hai tutti i torti Franco, anzi guarda sembra proprio che tu abbia ragione, a volte i tuoi colleghi sono dei veri imbecilli, si comportano da cafoni e in un modo cosi arrogante e offensivo che a diversi di loro e stato perfino interdetto l’accesso al cantiere. « Mi disse Karl mentre mi metteva la non so più quanta birra sul banco. 


Il mio vicino di banco era ancora lì, quasi immobile, taciturno, con quel suo sguardo lontano ed assente, dava l’impressione che vivesse in un altro mondo, molto lontano e molto differente dal mio attuale. 


Era alto, scarno, vestito in modo semplice, quasi arcaico, con una giacca grigia, di vecchia fattura e taglio, tipica della gente semplice e non di certo agiata.

I nostri sguardi si incontrano nello specchio del buffet dietro il banco e girandosi poi verso di me mi salutò sorridendo, quasi imbarazzato o pauroso di disturbarmi.

Sorrisi a mia volta e lo salutai con un breve cenno del capo. 


»Non vorrei sembrarle importuno, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione di prima, e anch’io penso ceh lei abbia ragione. vorrei tanto invitarla per un bicchiere di vino a casa mia, abito a due passi da qui, vorrei farle vedere delle cose mie, che probabilmente l’aiuteranno a cementare le sue idee.« Mi disse in perfetto tedesco, quasi timoroso di ricevere una negazione. 


Sorpreso lo guardai per un momento ma poi, vedendo Karl annuire, accettare l’invito e cosi senza sapere con chi avevo a che fare, pochi minuti dopo lasciammo il Bar e girando l’angolo, arrivammo in pochi passi a casa sua.

Un po’ sconcertato segui l’uomo nella sua cantina dove da uno scaffale, prese una bottiglia di vino bianco e l’apri, poi indicandomi una delle due poltrone che si trovavano al centro della grande stanza mi invitò a sedermi, fu allora che mi guardai in giro. 


La stanza era piena zeppa di vecchi mobili da cucina, un paio di letti e armadi smontati e ben accatastati l’un acconto all’altro, occupavano gran parte della stanza.

Appese alle pareti accanto vedevo fotografie di gruppi famigliari e lì mi accorsi, anche perché in diverse di quelle foto vedevo il tipico vestire degli Ebrei Ortodossi che quelle erano fotografie scattate prima della Seconda Guerra Mondiale.

Messo lì, nel bel mezzo del resto della stanza, quasi stesse aspettando degli ospiti c’era un salotto completo con tutte le suppellettili di allora, la grande vetrina, con dei bicchieri e la porcellana del Sabat ben in vista, una libreria piena di libri e sul tavolo sopra un bel centro candido e sicuramente ricamato a mano un vaso di fiori freschi.

Il tutto era ben tenuto e pulito, non si vedeva un singolo granello di polvere.

In silenzio mi guardai in giro e cominciai a capire, poi prendendo il bicchiere di vino bianco che l’uomo mi porgeva annuii con il capo senza dire una parola. 


»Vedo che ha capito cosa mi ero permesso di farle notare, spero vivamente che non me ne voglia, non volevo di certo importunarla, ma dopo aver ascoltato i suoi pensieri ci tenevo a farle vedere tutto questo, e la ringrazio veramente di essere venuto qua.« 


In silenzio annuii di nuovo e sorseggiai lo squisito Tokai che l’uomo mi offrì. 


L’anziano signore mi spiegò che le persone che vedevo raffigurate nelle Foto era tutta la sua famiglia e altri parenti sia da parte di suo padre che era un Rabbino, sia di sua madre che era una insegnate di Liceo, mi spiegò che tutti erano periti nei Campi di Concentramento nazisti, e che lui stesso, all’età di 14 anni, come per miracolo, era scampato a sicura morte ed era uno dei superstiti di Auschwitz. 


Parlava sommesso, senza rancore, mi spiegava che ad Haifa in Israele aveva ancora dei parenti lontani, che già da anni ormai lo avrebbero voluto avere con loro, ma che lui non se la sentiva di lasciare la casa dove era nato.

Mi diceva che se fosse partito gli sarebbe sembrato di abbandonare i suoi, di lasciarli soli in una casa ormai logora dal tempo e sicuramente prossima alla demolizione.

E lì, per l’ennesima volta, mi trovai a comparare la mia infanzia con la sua, mi rividi in quel lungo vicolo cieco dove ero nato, ben accudito dai miei, mi rividi a razzolare con gli altri bambini sul prato dell’asilo infantile sotto i pini, e pensando alla sua infanzia e agli orrori che già in giovane età aveva visto, quasi mi vergognai di essere stato cosi fortunato da essere nato altrove. 


Quella mezz’ora che stetti in casa sua non dissi una parola, ascoltai solamente, e mentre ascoltavo mi guardavo in giro e ad un determinato momento provai una strana sensazione di freddo e la pelle mi si accapponò, mentre i peli delle mie braccia si raddrizzavamo come se chiamati da una forza sconosciuta. 


E mi accorsi che non eravamo soli, non li potevo vedere ma potevo benissimo percepirli, sapevo che i suoi erano lì sempre con lui, che quell’uomo di cui non sapevo nemmeno il nome non era mai solo, non provavo paura, ma una serenità infinita e rassicurante, poi mi accorsi che l’uomo si era addormentato. 


Finii in mio bicchiere di vino e in silenzio per non disturbare me ne andai in punta di piedi, ringraziandolo in cuor mio per avermi lasciato sbirciare nel suo animo e nei suoi ricordi. 


Ritornai al Ring Bar dove Karl mi mise senza parlare subito un bicchiere di birra davanti, disse solo che quello me lo offriva la casa. 


Rimasi in silenzio seduto tranquillo sul mio seggiolone, finché verso le due del mattino, gli studenti e i loro professori non se ne andarono via, solo allora pagai il conto e me ne andai a dormire pure io. 


Erst nach Mitternacht, als langsam auch die anderen Gäste nach und nach Feierabend machten, entvölkerte sich das Lokal, so zahlte ich unsere Rechnung und machte mich auch auf die Socken.

»Gut, dass wir hier nicht in Holland sind,« dachte ich, als ich endlich in unsere Wohnung ankam, denn die steile Bauart den holländischen Treppen, und das noch bei 59 Stufen, wären in der Tat für einen alter halbbesoffener Mann, die reinste Tortur gewesen.

® Franco Parpaiola

Nessun commento: