All’inizio del Ventesimo secolo, in Friuli la gente era ancora mentalmente in
uno stato di semi schiavitù, valeva la parola del padrone e di chi giornalmente
girava in camicia bianca e cravatta.
Nei paesi, la prima persona per ordine d’importanza era il Parroco, poi
c’era il Sindaco e infine il Maresciallo dei Carabinieri.
I padroni di piccoli negozi, d’imprese edili e gli artigiani, erano una
casta a se che cercava accuratamente di non pestare i piedi a nessuno dei tre,
badando bene a farsi gli affari propri.
Ciò che mi era sempre sembrata inguista, era la posizione sociale dei
contadini.
Non importava quanti campi uno possedeva, quante mucche uno aveva nella
stalla o quanti vigenti possedeva, a quel tempo un contadino, era sempre
considerato quasi un essere inferiore e nella mente di molti, questo era
sinonimo d’ignoranza e grossolanità.
Il lavoro nei campi era arduo e in prevalenza manuale.
Nelle grandi famiglie che, tra figli con le rispettive mogli e prole
arrivavano facilmente a una ventina di persone e in certi casi sfioravano anche
la trentina, regnava il patriarcato nei campi e il matriarcato in casa.
A quel tempo le grandi famiglie usavano nominare i loro figli secondo i
numeri progressivi, conobbi un Primo, come anche un Sesto e un Ottavo, ma
conoscevo anche diversi Decimo;
tutti grandi e infaticabili lavoratori e tutt’altro che servili o paurosi.
Anche mio nonno materno Luigi, era un contadino tutt’altro che pauroso o
servile.
Nonno Luigi era un Uomo tutto un pezzo, dritto di schiena, rispettoso degli
altri, ma non certo servile.
Lo chiamavano il grigio per il suo modo di vestirsi, sempre in grigio con
giacca e pantaloni e gilè, immancabilmente grigi.
Subito dopo la prima guerra mondiale, il nonno come tanti altri, coltivava
la terra dei discendenti del Doge Manin, di Venezia.
La Villa dei Conti Manin a Passariano nel Comune di Codroipo è il tipico
esempio delle feudalità e del latifondismo veneziano in Friuli.
Nell’ambito di pochi chilometri quadrati nel Comune di Codroipo si contano
tre contee, con tanto di residenza feudale per gli aristocratici e povere
abitazioni per i contadini di allora.
L’unica fonte di riscaldamento invernale, oltre alla cucina con immancabile
focolaio friulano a fuoco aperto sotto una grande cappa per il fumo, a quel
tempo era la stalla delle mucche, dove le famiglie si riunivano dopo cena
durante le lunghe notti invernali.
Durante le lunghe serate invernali, al caldo della stalla, gli uomini di
casa allora intrecciavano nuove gerle o riparavano quelle che avevano e le
donne lavoravano a maglia ruvidi e grezzi calzini o maglioni per i loro famigliari
o rammendavano indumenti.
Le giovani donne di casa ricamavano pudiche la loro dote e più di un
matrimonio, fu intrecciato proprio nelle stalle durante le lunghe e fredde
notti invernali.
L’antagonismo paesano era una ragione di Vita, come lo era tra le varie
famiglie di diverse contee, dove esistevano dei veri e propri clan, ben
coltivati e amministrai dai Signori Conti che dalla rivalità dei propri
contadini, traevano vantaggio e potevano controllare meglio le famiglie in
concorrenza tra loro e ricavandone, il maggior profitto possibile.
Nonno Luigi fu il primo a ribellarsi al despotismo padronale
dell’aristocrazia di allora.
I vecchi del paese raccontavano in quegli anni che un giorno nonno Luigi
ebbe un vivace battibecco con il Conte, i due non trovarono un accordo su come
e con che cosa seminare un determinato campo. Il Conte voleva seminare una cosa
mentre nonno Luigi considerava una altra, la cosa migliore da fare.
A Passariano, i vecchi contadini raccontavano che a un determinato momento,
il Conte, dall’alto del suo cavallo ebbe la malaugurata idea di dire a nonno
Luigi che doveva assolutamente obbedire come facevano tutti gli altri
contadini.
Ricordando al nonno che lei era solo un contadino e non un Conte, quel
malaugurato aristocratico, risveglio nel nonno l’orgoglio dei friulani e così,
senza mezzi termini, nonno Luigi mandò l’arrogante rampollo Manin all’inferno e
pochi giorni dopo lasciò la contea con la sua mucca che tirava il suo piccolo
carro agricolo con i suoi pochi attrezzi e pochi mobili che il nonno possedeva.
Su quel carro che in pratica segnò una prima ribellione al latifondismo e
padroneggio veneziano in Friuli, c’erano pure un paio di polli e conigli, due
pecore e un maiale.
Sul carro, assieme ai sacchi di patate e granturco e alla farina per fare
il pane, c’erano i suoi bambini e dietro il carro, la nonna Anna che doveva
badare che le pecore e capre legate dietro al carro non si slegassero e
scappassero via nei campi.
Non mi è difficile immaginare quel semplice trasloco di allora, lungo la
polverosa strada che porta da Passariano a Codroipo.
Il nonno Luigi davanti che segnava il passo a fianco della mucca; la nonna
dietro il carro che badava alle pecore e alle capre e teneva d’occhio le sue
figlie sul carro sedute tra quelle poche cose che possedevano.
In quell’anno nonno Luigi si prese come mezzadro sei campi da coltivare, le
sue capacità erano conosciute e pertanto non gli fu per niente difficile
trovare altra terra da coltivare.
Chissà che pensieri passavano per la testa ai nostri nonni in quei giorni,
chissà se sognavano cose che non conoscevano, o se semplicemente speravano in
un futuro con meno stenti e mortificazioni.
Senza lavoro e nell’ozio i nostri vecchi non potevano certo stare,
sarebbero morti d’inedia, si sarebbero appassiti come piante nel deserto;
sicuramente sognavano un futuro migliore, ma che tipo di avvenire sognavano i
nostri nonni se non campi e prati in fiore, coltivati a dovere nella fertile
terra friulana?
Che cosa può sognare chi non conosce che il lavoro nei campi e si sente
pago guardando il frutto del suo lavoro germogliare dalla terra e lo accudisce
mentre cresce e fiorisce e matura quasi dal nulla, esplodendo in una miriade di
piante e frutta e colori e profumi?
A cosa può aspirare un Uomo che ammusa la terra dei suoi campi appena
arati, che la respira, che s’inebria dell’odore che emana un campo arato e
concimato di fresco,
Un Uomo che vive la terra che coltiva come se ne fosse parte integrale di
se e che si porta a casa ben impresso nel cuore e nella mente, il verde del
granturco, l’odore del fieno e dell’erba appena tagliata, a cosa pensa, che cosa
sogna, se non alla Vita?
A cosa aspira un Uomo che stanco dal lavoro dei campi, si ritrova alla sera
nella stalla a mungere la sua mucca e a pulire la stalla a darle da bere e a riempire
la mangiatoia con nuovo fieno se non alla pace e alla serenità d'animo?
Che cosa pensa un Uomo che si alza al levar del sole, che munge la sua mucca
e pulisce la stalla e ritorna nel campi a sgobbare fino al calar del sole se
non a salutare il nuovo giorno e il sole nascente?
Sicuramente la vista delle piante dell’uva, colme di grappoli bianche e
neri, lo riempie di orgoglio e lo fa sentire vivo e forte mentre I campi di
granoturco ancora verde gli danno speranza, ma i campi di grano e i prati di
erba sana e florida che testimoniano del suo lavoro, cosa lo inducono a pensare
se non alla forza e magnificenza del Creato?
In momenti simili un Uomo teme sicuramente la grandine e scruta con
circospetto e sicuramente con apprensione le nuvole nere durante i temporali
estivi, in cerca di segni d’imminenti grandine.
Chissà se un Uomo simile pensa a Dio, in qui momenti.
Forse e riconoscente per il buon raccolto e forse, in tacito e tra le
lagrime, dopo una grandinata che ha distrutto in pochi minuti tutto il suo
lavoro di un’intera stagione; piuttosto che un pensiero di ringraziamento manda
rabbioso, quattro madonne al cielo.
Chissà, se invece se ne sta solo li, mesto e disorientato e in piedi
accanto a sua moglie, troppo stanca, delusa e avvilita e, assieme a lei, guarda
esterrefatto nel vuoto, incapace di pensare?
Sicuramente nonno Luigi quel pomeriggio d’estate dove un temporale con una
grandinata che non dimenticherò mai, distrusse quasi tutto il raccolto dell’uva
del suo vicino e una piccola parte del suo, non se la sentiva di
certo di ringraziare o di mandare pensieri di riconoscenza al Padreterno.
Quel pomeriggio dopo il temporale, stava lì, in piedi accanto a sua moglie
in mezzo ai suoi campi guardandosi in giro e lo sentii mormorare un'unica frase:
Questo non è giusto, mi sento umiliato e offeso.
»Questa sera reciterò un rosario,« mormoro sommessa nonna Anna.
»Tira giù quattro madonne che è meglio,« bofonchiò nonno Luigi piuttosto
amareggiato vedendo che il suo vicino dall’altra parte del canale
d’irrigazione, piangeva sommesso e scoraggiato, appoggiato a un gelso.
Quando lavoravano nei campi, li sentivo spesso parlare insieme.
I loro erano discorsi mesti, tranquilli, di poche parole.
Parlavano del loro passato, della loro età, della loro stanchezza e del
lavoro che per loro diventava sempre più pesante e arduo.
La nonna non diceva mai tante cose, annuiva quando era d’accordo, ma sapeva
anche puntare i piedi e far valere le sue ragioni.
Nonna Anna, come d’uso nelle vecchie Famiglie friulane rispettosamente dava
del lei a suo marito, ma con altrettanto rispetto, quando qualche cosa non le
andava a genio, dandogli sempre del lei, lo mandava a quel paese.
Quell’Autunno da qualche parte alla fine degli Anni quaranta quando ormai
nonno Luigi aveva settant’anni suonati e nonna Anna lo seguiva a ruota, i due
decisero di smettere di lavorare la terra.
La loro salute era ferrea, ma la forza era venuta meno, i loro figli e
figlie avevano preso strade diverse che quella dei campi e del lavoro agricolo
e da soli i due vecchietti non ce la facevano più.
Nonno Luigi si spense all’improvviso una mattina d’Autunno qualche Anno
dopo.
La zia che lo accudiva, mi disse che se ne andò così, stando seduto, subito
dopo aver fatto la sua colazione mattutina che consisteva in tre bicchieri di
grappa e una tazza di caffè.
Rimase lì, seduto sulla sedia, dritto di schiena come sempre, con il suo
ultimo bicchierino di grappa appena svuoto in mano.
La zia mi disse che lo vide posare il bicchierino sul tavolo e lo senti
bisbigliare un, »Mandi« sereno e pacato e poi i suoi occhi su questa Terra, si
chiusero per sempre.
Il medico chiamato d’urgenza, disse che nonno Luigi si era fermato, come fa
un motore, quando ha finito la benzina.
Pochi giorni prima, mi aveva chiesto di accompagnarlo nei campi. Assieme,
camminando piano avevamo rifatto la strada che facevamo quando d’estate andavo
ad aiutarlo.
Il mio aiuto allora consisteva ne tirare il corretto a due ruote, dove lui
e la nonna caricavano la legna da bruciare nel focolaio della cucina e quel
poco di erba che serviva per i loro conigli e gli zucchini e cetrioli che
crescevano tra i solchi del granoturco.
La sua ultima mucca era stata venduta già da qualche tempo e il fienile e
la stalla erano vuoti, avevano solo i polli e i conigli.
La nonna se ne era andata pochi mesi prima mentre era da una delle sue
figlie lontano dal paese. Nessuno dei suoi figli glielo aveva mai detto,
temevano per lui, sapevano che non avrebbe sopportato l’idea, o almeno le sue
figlie e figli, credevano di saperlo.
Quel pomeriggio, quando andammo nei campi, tutta la compagna attorno a noi
era in fiore, ma un’ombra di nostalgia, passò sul suo volto quando arrivando a
quelli che una volta erano i suoi campi dai quali aveva estratto il suo
sostentamento e si accorse che erano stai trasformati in un unico grande prato.
I proprietari avevano sradicato anche le due file di gelsi che nonno Luigi
aveva piantato nel 1943, quando la Guerra lasciò il Friuli e si era spostata
minacciosa e implacabile verso Nord.
Pensoso nonno Luigi si sedette sull’orlo del canale d’irrigazione come
faceva quando irrigava i campi e mi fece cenno di sedermi accanto a lui.
Passò una mano sull’erba quasi accarezzandola, poi si prese una zolla di
terra e la annusò.
»Questo sarà un buon anno Franco, la terra respira,« mi disse guardando
lontano.
Nonno Luigi stava lì seduto in quel particolare punto del canale da dove
poteva controllare l’acqua per l’irrigazione e guardava i campi che ormai
nessuno lavorava più.
Nonno Luigi in quei momenti che ancor oggi mi sembrano eterni stava guardando
nel suo passato, di questo ne sono sicuro.
C`era qualche cosa di mistico stampato sul suo marcato volto che sembrava
scolpito nel marmo e guardandolo io non osavo ne muovermi ne parlare.
Sentivo che non potevo che non dovevo parlare, pertanto me ne rimasi lì
zitto e tranquillo e quasi timoroso di respirare.
Sentivo che in quel momento nonno Luigi stava dicendo addio alla sua terra
che con tanta dedizione e passione aveva per tanti anni lavorato, così rimasi
li, seduto accanto lui, non dissi niente neanche quando lui cerco la mia mano e
la rinchiuse tra le sue.
Rimanemmo seduti sull’orlo del canale d’irrigazione ancora per un poco,
finche tutto un tratto si scosse e lasciando la mia mano che per tutti qui
momenti, aveva tenuto nella sua, appoggiandosi sulla mia spalla in silenzio si
alzo.
Il Grigio come chiamavano nonno Luigi, s’incamminò lento e maestoso verso
casa ed io lo segui camminandogli accanto senza parlare.
Strada facendo volle entrare in un’osteria, dove altri suoi coetanei
sedevano e mi disse di bere un mezzo bicchiere di Tocai assieme a lui.
Bevvi il mio mezzo bicchiere di vino, lui mi guardo bere e poi mi
accompagno alla porta.
»Non avere mai paura di nulla Franco, non importa dove tu vada o cosa
farai, non avere mai paura, non ti succederà mai nulla.«
Quella furono le ultime parole che sentii dal nonno Luigi, la sua ultima
immagine nella mia mente e quella dell’Uomo che chiamavano il Grigio e che era
mio nonno, che fermo davanti alla porta dell’osteria con un bicchiere di Tocai
i mano, mi salutava.
Nonno Luigi si spense pochi giorni dopo, subito dopo la colazione e dopo
avere bevuto il suo ultimo grappino.
Nonno Luigi deve avermi trasmesso la sua tenacia, la sua percezione del
dovere, il suo senso di rispetto del prossimo, la sua sobrietà e la sua
indistruttibile fermezza di carattere e indomabile voglia di libertà.
Soprattutto, chi chiamavano il Grigio, deve avermi trasmesso la sua
insofferenza verso ogni sorta di soprusi e ingiustizie.
Nonno Luigi non sopportava i fanfaroni, i venditori di vento, gli
ingannatori e ciarlatani vari; li considerava dei parassiti e con il tempo, la
vermaglia parassitaria paesana, aveva imparato a stargli alla larga.
Nonno Luigi mi aveva sicuramente trasmesso la sua avversione verso le
arroganze e le angherie e la cattiveria d’animo. La sua insofferenza verso chi
crede di avere il monopolio sullo sfruttamento degli altri era quasi
proverbiale e i falsi e ingannatori, badavano bene a non pestargli i piedi,
La mia intolleranza e antipatia contro chi crede di poter decidere e
pontificare e sottomettere e soggiogare a suo piacimento ed esclusivamente per
propri interessi il suo prossimo; non vengono che da lui e da nessun altro.
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