venerdì 13 aprile 2018

Black and White






Facebook mi ha bannato per 7 giorni e  sventolando la possibilità di impendermi l’accesso al mio sito per tre Mesi consecutivi, qual ora avessi un'altra volta infranto le sue regole del buon costume, mi esortò a non usare aggettivi ingiuriosi.  

Facebook dixit: Wir haben etwas entfernt, das du gepostet hast. 

Offenbar entspricht ein von dir geposteter Inhalt nicht unseren Gemeinschaftsstandards.  

Nella Lingua di Dante, il messaggio inviatomi da Facebook suona pressappoco così: Abbiano tolto qualche cosa che tu hai postato.  

Evidentemente un’affermazione da te postata non corrisponde ai nostri parametri di buona convivenza. 

La frase dello scandalo che scrissi su Facebook commentando un articolo di un mio amico virtuale che dava sfogo alla sua rabbia dovuta al criminale comportamento della delinquenza afro –araba in Italia, e contestatami dal reparto di vigilanza e di buon costume di Facebook, è a seguente: Liberatevi dai sinistroidi o quelli vi schiavizzeranno ai negri.  

Ben sapendo di essere un analfabeta funzionale mi feci furbo e consultai, cercando illuminazione, nientepopodimeno che l’Accadamia della Crusca.  


L’accademia della Crusca dixit:  

Quesito:  

Ci sono giunte alcune domande sulla distinzione tra nero, negro e di colore, e quale sarebbe l'espressione da preferire. A questa domanda ha risposto Federico Faloppa sulle pagine del numero n. 43 (aprile 2006) della Crusca per voi


Nero, negro e di colore 

«Sull’uso di negro, nero e di colore per descrivere e caratterizzare una persona, o un gruppo di persone, in base al colore della sua (o della loro) pelle si è discusso non poco, negli ultimi decenni. E tuttora si continua a discutere, a voler scorrere, in Internet, i forum dedicati al tema. Non è un caso. Perché non vi è dubbio che l’argomento e le connesse scelte linguistiche presentino alcune incertezze e insidie sia sul piano squisitamente lessicale, sia su quello dell’accettabilità o dell’interdizione sociale. Fino agli anni Settanta, negro, nero e di colore sono stati usati quasi come sinonimi e con connotazioni di significato molto simili (tutt’al più, erano caratterizzati da un diverso uso sintattico, essendo gli ultimi due impiegati soprattutto in funzione aggettivale). 

Negro, fra i tre, era certamente quello più storicamente attestato, più semanticamente pregnante. Tradizionalmente, identificava una presunta «razza» (la «razza negra», o «i negri», appunto) a cui nei secoli erano state attribuite precise e specifiche caratteristiche, sia fisico-somatiche sia morali (ancora negli anni Cinquanta – anni in cui cominciò a vacillare lo stesso concetto di «razza» – era possibile leggere sullo Zanichelli che «i negri» erano “popoli d’Africa di colore scuro… con cranio stretto e alto, prognatismo… collo grosso, pelle grossolana, statura piuttosto alta, vivaci, facile da imitare…»). Veicolava giudizi di inferiorità. Ed evocava secoli di «razzismo», e di crimini commessi in suo nome. Tuttavia, poteva essere utilizzato – soprattutto, in funzione aggettivale – senza provocare scandalo, o senza essere ritenuto necessariamente offensivo (cfr. F. Faloppa, Parole contro. La rappresentazione del diverso in italiano e nei dialetti, Milano, 2004, pp. 99 sgg.). 

Solo all’inizio degli anni Settanta, in seguito alle lotte dei «neri» americani, alcuni traduttori avrebbero cominciato a bandire l’uso di negro in favore di nero, che pareva rendere più fedelmente l’anglo-americano black, assurto a simbolo e parola-chiave dei movimenti per i diritti delle minoranze negli Stati Uniti («Black power», «Black is beautiful»). Cominciò anche a diffondersi l’espressione di colore, calco dall’anglo-americano coloured (che dagli anni Trenta aveva vissuto alterne fortune: cfr. K. Johnson, «The vocabulary of race», in Rappin’ and stylin’ out. Communication in Urban Black America, a cura di T. Kochman, Chicago, pp. 140 sgg; H. Mencken, The American Language, New York, 1985, p. 381). Ciò non inibì, comunque, la circolazione di negro, che anzi negli anni Ottanta poteva essere usato – con pretesa di neutralità – dai più importanti media nazionali in relazione al fenomeno dell’immigrazione, e alla crescente presenza, in Italia, di immigrati provenienti – in prevalenza – dall’Africa, e quindi «negri» o «neri» per definizione (da un articolo di «Epoca», del 13 dicembre 1987: «... il 24 per cento degli italiani non vorrebbe avere una relazione sentimentale con un negro...»; cfr. Facce da straniero. 30 anni di fotografia e giornalismo sull’immigrazione in Italia, a cura di L. Gariglio, A. Pogliano, R. Zanni, Bruno Mondadori, 2010, in particolare pp. 103 sgg.). 

Qualcosa probabilmente cambiò con l’inizio degli anni Novanta, quando importammo il dibattito sul «politicamente corretto» dai paesi anglosassoni (cfr. E. Crisafulli, Igiene verbale. Il politicamente corretto e la libertà linguistica, Roma, 2004; Geoffrey Hughes, Political correctness. A history of Semantics and Culture, London: Wuley-Blackwell, 2010; R. Fresu, Politically correct, in «Enciclopedia dell’Italiano», diretta da R. Simone, Vol. 2, Roma, 2011, pp. 1117-1119). Con degli esiti sia sull’asse paradigmatico – nella scelta, cioè, fra negro, nero, di colore (o afro-americano, che però da noi ha attecchito solo in certi contesti d’uso, e in certi registri) – sia, più in generale, nella percezione del rapporto tra lingua e società, e tra usi linguistici e sensibilità (individuali e collettive). Ricevendo quindi non soltanto indicazioni – secondo alcuni, prescrizioni – lessicali (ad esempio, l’interdizione dei vocaboli anglo-americani negro e nigger, che ha certamente avuto dei riflessi nell’interdizione dell’italiano negro), ma soprattutto spunti di discussione sul valore discriminante di alcune categorie ed etichette verbali all’interno di una società complessa, dove i rapporti di forza e di potere tra la maggioranza e le minoranze passano anche attraverso il linguaggio. 

Quale che sia l’opinione rispetto al movimento del «politicamente corretto» e alle sue rivendicazioni, è stata probabilmente questa maggiore attenzione all’uso delle parole (e alle loro ripercussioni sociali, con l’innescarsi di atteggiamenti di stigma, o di fenomeni di interdizione), seppur indotta, ma suscitata non a caso nei decenni in cui il fenomeno dell’immigrazione ci ha messo di fronte alla presenza dell’«altro», a far sì che negro, oggi, appartenga ormai alla sfera del vituperio. Perché è nella prassi che negro è generalmente avvertito dai parlanti come offensivo, discriminante: sia da chi lo utilizza, consapevolmente, per insultare (ad esempio, in binomi lessicali pressoché fissi come «sporco negro», «negro di merda»), sia da chi lo riceve, come epiteto (cfr. J. Butler, Parole che provocano, Milano, 2010; Federico Faloppa, Razzisti a parole (per tacer dei fatti), Laterza, 2011, pp. 17 sgg.). E sia da chi, pur obiettando che esso è etimologicamente giustificato, e sottoposto a censura solo per motivi di fastidiosa pruderie linguistica, avverte la necessità di sostituirlo con nero, consapevole tanto delle connotazioni legate storicamente a negro quanto delle norme sociali che ormai ne regolano l’uso. Certo, sarebbe bene – come sempre, in fatto di lingua - non prescindere dai contesti, dalle intenzioni del parlante, o dai tratti sovrasegmentali (come l’intonazione). Ed evitare, in ogni caso, tentazioni censorie o posizioni isteriche (come quella di quel tale che un giorno – il racconto è autentico - in piscina sentì un ragazzino che urlava «negro, negro», gli si avvicinò indignato per rimproverarlo, e si sentì rispondere: «ma sto chiamando il mio amico: si chiama Negro di cognome»). Tuttavia, negro resta indubbiamente un termine problematico: occorre tenerne conto. 

Quanto a nero o di colore, il dibattito è tuttora aperto. L’espressione di colore – da molti ritenuta neutra e priva di connotazione negativa – è stata in anni recenti messa sotto accusa. In proposito, si ricorderà la poesia anonima, circolata ampiamente sul web con intento ironico-polemico, Uomo di colore («Io, uomo nero, quando sono nato ero Nero/Tu, uomo bianco, quando sei nato, eri Rosa/Io, ora che sono cresciuto, sono sempre Nero/Tu, ora che sei cresciuto sei Bianco/Io, quando prendo il sole sono Nero/Tu, quando prendi il sole sei Rosso/Io, quando ho freddo sono Nero/Tu, quando hai freddo sei Blu/Io, quando sarò morto sarò Nero/Tu quando sarai morto sarai Grigio/E tu mi chiami uomo di colore»), o anche, forse, il vivace battibecco, negli Stati Uniti, tra il senatore Harry Reid e il giornalista Cord Jefferson, rispettivamente contro e a favore dell’uso del termine colored. In attesa di uno studio che dell’espressione ci fornisca, tanto in diacronia quanto in sincronia, contesti, occorrenze e co-occorrenze, frequenze d’uso, si fa strada la sensazione che il significato di di colore – eufemismo adottato per sostituire l’offensivo negro – invece di essere percepito come neutro, metta l’accento proprio sulla caratteristica (il colore della pelle) che si vorrebbe non evidenziare e non discriminare. E quindi si tende a preferire nero, in generale, per indicare tutte le gradazioni più scure del colore della pelle. 

Detto questo, anche il termine nero non è privo di connotazioni ambigue. Quando usato come sostantivo per identificare una persona, o un gruppo di persone, in base al colore della pelle, rischia anch’esso di creare una categoria approssimativa, omogenea e omologante («i neri», «le nere»), basata non solo sul contrasto cromatico, ma anche – è sensazione di chi scrive – sulla mancanza, difettiva, di alcuni tratti (tanto fisici quanto culturali tout court) che si presume appartengano al gruppo (bianco) di maggioranza. Quando usato come aggettivo, rischia di apparire sovrabbondante: di essere usato, cioè, anche quando non ce ne sarebbe bisogno (ad es. Il cameriere nero ci ha serviti). 

Il punto vero, infatti, è che – al di là di opzioni più o meno accettate – sarebbe meglio specificare il colore della pelle solo se effettivamente necessario ai fini della comprensione del messaggio o dell’informazione che si vuole trasmettere. Non certo per nascondere una caratteristica fisica; semmai – al contrario – per non rimarcarla quando non serve. Come si fa, d’altronde, comunemente con tutte le altre pigmentazioni: quante volte ci è realmente capitato, o ci capita – e la domanda è retorica – di dover specificare che qualcuno è "bianco", o appartiene al gruppo dei "bianchi"?»
12 ottobre 2012  

Sembra proprio che nell’organizzazione “feisbucchina” di Mr. Zuckerberg, ci sia qualcuno che a suo piacere intende modificare la Lingua di Dante, confondendo e traducendo l’insulto americano “niger” con l’aggettivo italiano: Negro.  

Anni fa successe qualche cosa di simile in Germania, qui nella terra di Goethe e Schiller, la pietra dello scandalo erano dei cioccolatini denominati Negerkuss, ovvero: Bacio del Negro.  

 Mi sembra che stiamo andando nel ridicolo perché proprio qui in Germania le torte: Bacio del Negro, sono molto in voga.  


Ogni frase, ogni parola può essere discriminatoria e usata come insulto o imprecazione, dipende dall’uso e dall’inclinazione che diamo a certi aggettivi. 
In casi simili le interpretazioni di comodo, soprattutto per ridicole ragioni politiche; sono all’ordine del giorno.

Darum ist das Wort "Neger" ein Tabu Von  Birte Schmidt  

Aktualisiert am 02. September 2015, 15:32 Uhr


"Roberto Blanco war immer ein wunderbarer Neger": Mit seiner Äußerung in Frank Plasbergs ARD-Talk "hart aber fair" hat der bayerische Innenminister Joachim Herrmann für einen Eklat gesorgt. Doch warum ist das böse N-Wort eigentlich tabu?

"Hola!" Das war alles, was
Frank Plasberg einfiel, als der bayerische Innenminister Joachim Herrmann den Sänger Roberto Blanco gestern Abend in der TV-Sendung "hart aber fair" als einen "wunderbaren Neger" bezeichnete. Und Wissenschaftsmoderator Ranga Yogeshwar versuchte einzulenken: "Zu mir hat man auch schon mal Neger gesagt, das ist einfach so." Die danach entbrannte öffentliche Diskussion zeigt: "Einfach" ist das gar nicht.
Aber warum ist das Wort "Neger" eigentlich tabu?
Ursprünglich kommt der Begriff "Neger" von "niger". Das ist lateinisch und bedeutet einfach nur "schwarz". Neutral im Wortsinne betrachtet handelt es sich dabei also erst einmal nur um einen Menschen mit schwarzer Hautfarbe.


Wodurch aber wird nun ein neutrales Wort zum Schimpfwort?

Prinzipiell kann jedes Wort zum Schimpfwort werden, nämlich immer dann, wenn es in einem bestimmten Kontext verwendet wird. Für den Begriff "Neger" gilt, dass er als Bezeichnung für die Hautfarbe eines Menschen erstmals während der Kolonialzeit im 16. Jahrhundert verwendet wurde. Er beschrieb die afrikanischen Sklaven, die gemäß der damals geltenden sehr fragwürdigen Rassenlehre als "anders" im Sinne von "zweitklassig" betrachtet wurden. Und eben mit dieser Bedeutung wurde der Begriff im 17. Jahrhundert auch in die deutsche Sprache übertragen, in der es entsprechend von Anfang an negativ besetzt war.

Seit wann kämpfen Menschen gegen die Verwendung?

Erst mit der Bürgerrechtsbewegung der 1960er Jahre in den USA und der Emanzipation der schwarzen Menschen startete die öffentliche Debatte über die Verwendung des Wortes. Und es sollte Jahre dauern, bis die Allgemeinheit den Begriff als negativ wertend identifizierte. In deutschen Wörterbüchern verbreitete sich ab Mitte der 1970er Jahre der Ratschlag, man solle den Begriff vermeiden. Trotzdem verkaufte Dr. Oetker seine Eissorte "Negerlein", ein mit Schokolade überzogenes Vanilleeis, noch bis Anfang der 90er Jahre. Und auch die Bezeichnung "Negerküsse" für Schokoküsse verschwand erst im selben Jahrzehnt.
Was hat es mit der Debatte um die Verwendung in Kinderbüchern auf sich?

2013 entbrannte außerdem eine große Diskussion über die Frage, ob man den Ausdruck "Neger" in literarischen Texten ersetzen solle. Im Zentrum der Kontroverse standen unter anderem Kinderbuchklassiker von Otfried Preußler, Erich Kästner und Astrid Lindgren. Der Verlag Friedrich Oetinger hatte bereits wenige Jahre zuvor in Pippi Langstrumpf "Negerkönig" durch "Südseekönig" ersetzt
.

Le parole sono pericolose e ingiuriose solo se  in mano ai bigotti e ai falsi buonisti e  agli opportunisti appratenti a minoranze entiche e soprattutto razziste che della cosiddetta discriminazione ne hanno fatto una ragione di vita. 

I vari aggettivi poi e  lasciatemelo dire in santa pace; si trasformano in armi micidiali se usati da minoranze etniche  che della loro  libera interpretazione e traduzione, giocando sul pudore civile e sulla poca dimestichezza linguistica della gente ne hanno fatto una fonte di guadagno e di notorietà mediatica.  

L’aggettivo: Negro, non è un insulto né tanto meno intende discriminare persone di pelle scura. 

Nella Lingua di Virgilio, cioè il Latino: Niger indica il colore nero e nient'altro.  

L’americanismo: Niger, così come usato dai bianchi; quello sì che è un insulto, questo però negli Stati Uniti d’America, non in Italia, non in Germania, non in Europa.  

Come potrei tradurre l’appellativo americano niger in italiano o in tedesco?  

Non esiste una  traduzione vera e reale di una parola nata nell’arrogante ignoranza dei sudisti e schiavisti e negrieri americani  come quella americana derivata dalla storpiatura della lingua di Shakespeare che nemmeno conosce la parola Negro se non come Black Man, come non conosce la Melanzana che la definisce come: Eggplant. (Pianta delle uova)   

Come cazzo si deve allora tradure Black Man per non offendere i bigotti, gli opportunisti e i ruffiani politici e sociali? 

Back Man = Uomo nero o Uomo negro.  

Il nero per me è un colore mentre un Black Man è un uomo negro.  

Chi ha paura del uomo nero?  

Uomo nero stu cazz… un uomo nero non esiste, a meno che non sia un spazzacamino dopo una giornata di lavoro.  

È il buon senso e il rispetto per le persone che deve regolare e guidare il nostro comportamento, non la libera interpretazione e convenienza politica di una lingua primitiva come quella americana, o l’uso indiscriminato di aggettivi, bianchi o negri che essi siamo.

Una mia cara amica e non solo virtuale  mi ha fatto notare che Shakespeare  nel suo Otello per bocca di Emilia chiamò l'assassino di Desdemona: Il Moro stupido come la spazzatura.

Mettiamo al bando pure il classico "Moro" veneziano adesso?

OTHELLO





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