domenica 17 dicembre 2017

La Motonave El Castillo

 
 
 
Da Il caso della Motonave El Castillo.

Prossima pubblicazione in italiano e in tedesco.

 La piccola piazzuola brulicava di giovani  Marines inglesi in franchigia, a occhio e croce in paese c’erano circa trecento Marines.

L’uno a ridosso dell'altro nella piazza, c’erano una decina di bar e le trattorie, in nessuno di quei locali vidi una sedia vuota.

Anche il piccolo giardino con le sue due panche di legno era stato invaso dai giovani militari avidi di birra.

Alcuni si erano seduti sul praticello, si erano comprati una cassa di birra e silenziosi, quasi in devoto raccoglimento, guardavo per terra e bevevano con determinazione e tenacia.

»Quelli li con a testa bassa sembrano già sbronzi.« Commentò Berny vedendoli.

»Forse, adesso che sono lontani dai luoghi di guerra della Iuogoslavia e la loro adrenalina li ha lasciati soli, hanno quasi paura di respirare e per questo si sbronzano.« Risposi sommesso.

Quella sera anche il “nostro” bar era letteralmente invaso da giovani soldati e a prima vista non c’era un singolo posto libero.

I militari si erano sistemati in terza e quarta fiala davanti al banco e Costa e altri due ragazzi dietro il banco avevano il loro bel daffare a preparare le bevande che Stella e altre due ragazze, tra il vociar dei Marines britannici, reclamavano a gran voce.

Noi due trovammo un angusto angolino tra un paio di casse di birra vuote.

Costa vedendoci, mise una bottiglia di Metaxa e un bicchierino davanti a Berny e indicandoci il frigo con le bottiglie di birra ci disse di servirci da soli.

»Avessi saputo che c’era tutto questo trambusto me ne sarei rimasto a Bordo.« Pensai bevendomi un sorso dalla bottiglia che Berny mi aveva appena messo in mano.

»Me ne vado, qui c’è troppo baccano.« Avvertii Berny dopo aver bevuto la mia birra e messo la bottiglia vuota nella cassa accanto a Berny che in mancanza del suo seggiolone si era seduto su due casse di  birra una sopra l’altra accanto al frigo.

 

Uscii da quella bolgia vociante di giovani inglesi e senza che me ne accorgessi, invece di girare a sinistra verso il porto, virai a destra verso la fine della piazza e passando davanti al Ristorante di Nico che pure lui aveva il locale pieno di gente, mi diressi verso la collina sovrastante il paese.

La strada in salita attraverso aranceti portava chissà dove, di norma nemmeno in sogno, pigro come sono, mi sarei fatto una camminata simile, quel tardo pomeriggio, però m’incamminai chissà perché poi su per la collina.

Le poche centinaia di metri che feci mi bastarono per farmi ancora una volta capire che non ero tagliato per lunghe e temerarie passeggiate in salita, cosi, quasi senza fiato mi sedetti sul muretto di pietra che fiancheggiava la strada e per respirare meglio, mi accesi una sigaretta.

Durante la mezzora che arrancai su per la strada, mi concessi diverse pause, ma alla fine ero riuscito a raggiungere la cima della collina da dove potevo vedere il paese, il porto e la baia.

All’imboccatura della baia, le navi della Royal Navy sparivano nel crepuscolo della sera ormai vicina e potevo vedere anche le luci dei pescherecci che instancabili facevano la spola tra loro e il porto, traghettando militari sbronzi a bordo e portando altri golosi e avidi di birra a terra.

Nel porto, lungo la nostra banchina potevo ancora distinguere nostra El Castillo quasi all’ombra della Cory Quest e dietro di quest’ultima, la grigia siluetta della n° 17 Indomitus dell’US Navy.

Finii la mia sigaretta e proprio quando mi accinsi a ritornare a bordo, un giovanotto, correndo giù verso il paese,  mi passo accanto.

Correva in modo composto e silenzioso; senza sforzo andava veloce e solo allora mi accorsi che indossava una tutta di ginnastica dei Marines americani.

Nei giorni passati avevo notato un giovane che si allenava correndo nel porto, sapevo che faceva parte dell’equipaggio della Indomitus, ma  non lo aveva mai visto in un bar.

Silenzioso e ordinato nei movimenti, il Marine se ne andò giù verso il paese ed io aiutato dalla discesa clemente, cercando di non sbuffare troppo, gli andai spedito dietro.

In paese, i Marines inglesi avevano ormai preso possesso di ogni metro quadrato della piccola piazza e su un albero, accanto all’Hollywood bar, due gatti avevano trovato rifugio da quella marea di giovani che non davano segno di stanchezza.

Gli aitanti barcaioli inglesi erano tutti sbronzi e mentre alcuni cercavano in tutti i modi di entrare nell’Hollywood bar, altri, con le loro casse di birra, si erano seduti sui marciapiedi o semplicemente sulla strada chiudendola così al traffico.

Facendo quasi la gincana tra la gente, raggiunsi il porto e la passerella della mia nave e notai che il giovane Marine di poc’anzi stava ancora correndo su e giù per la banchina.

Passandomi accanto, il giovane si fermò e appoggiando le mani sulle ginocchia soffiò forte un paio di volte e si raddrizzò senza segni di stanchezza, come se avesse fatto solo una piccola passeggiata.

»Hai sicuramente fatto una bella corsa di diversi Chilometri questa sera.«  Dissi impressionato.

» Chief, questo fa parte di un normale training, lo faccio ogni giorno.«  Rispose lui sorridendo.

Benone, pensai, il ragazzo sa che cosa faccio a bordo, pensai incuriosito,

Il giovane guardò prima l’El Castillo, poi mi guardò diritto negli occhi. 

Il suo sguardo non era né penetrante ne cattivo, era solo determinato.

»Quand’è che inizierete la vostra bravata in giro per gli oceani?« Mi chiese, cosi, a bruciapelo.

»Mai,« -risposi tranquillo- »questa nave non andrà da nessuna parte, se non verso un cantiere di demolizione dal quale è venuta.« Precisai poi con fermezza.

»Franco, perché tutta questa farsa allora?«

»Sai pure il mio nome.« Dissi con un mezzo sorriso.

Annuì sorridendo a sua volta e indicò verso la piazza, dove i militari si stavano sbronzando.

»Bravi e giovani ragazzi quelli la non è vero?«

»Si, lo sono di sicuro e a ragion del vero a che cosa serva la farsa di questa nave non te lo saprei proprio dire, nemmeno io ci capisco qualche cosa, è troppo inverosimile per essere vero, però lo è; questa pagliacciata è reale.«

»Te la senti ancora di riparare la nave?«

»Lo avessi sin dal inizio saputo, in che situazione mi sarei trovato, ora manco sarei qui, non avrei mai accettato un ingaggio simile, in quanto al resto penso che il tutto si spieghi con la frase del mio collega “More days, more dollars;” comunque anche se riuscissimo a farla partire, io non ci andrei.«

»Dove la vedi tu la differenza tra il mettere qualcuno in condizioni di delinquere in campo internazionale servire il terrorismo islamita  e il non parteciparvi fisicamente?« Continuò implacabile il giovane Marine.

»Vedi, ora che per la prima volta sono direttamente confrontato con questo genere di crimini internazionali mi sto chiedendo se ci sia una differenza tra mettere in condizioni e quello di eseguire materialmente l’operazione. Dov’è il confine tra responsabilità morale verso di loro,« -risposi indicando a mia volta verso il paese, dove i suoi commilitoni si stavano sbronzando- »la moralità, il  senso di  responsabilità e gli interessi politici di diverse Nazioni implicate e nel piccolo, anche gli interessi personali di tutti noi, il netto taglio divisorio che separa il bene dal male, dov’è e chi è che lo definisce? Siamo sicuri che esistano delle reali regole che definiscono tutto questo?”  Chiesi poi guardandolo a mia volta con determinata fermezza.

»Si Chief, le regole ci sono, le dettano la nostra cultura e la nostra coscienza di cristiani e di patrioti, con questo non intendo dire che i nostri politici abbiano sempre ragione, anche tra le nostre file ci sono dei figli di puttana  che più per interesse personale e partitocratico che Nazionale, si cucinano la loro zuppetta; nell’insieme però, noi non siamo  criminali internazionali che alimentano il terrorismo islamita, tu queste cose le sai Chief, tu conosci i confini.«

Il nostro piccolo dibattito aveva durato poco più di due minuti e il mio interlocutore aveva ripreso a saltellare sui due piedi.

»Non importa che cosa succederà, la El Castillo non andrà da nessun parte ed io tra qualche Settimana ritornerò a Rotterdam è mi cercherò con calma  una nave migliore.«  Conclusi.

»Addio Chief, è stato interessante parlare con te, ora però devo ritornare a bordo e farmi una doccia; fatti un paio di Settimane di ferie ma non bere tanto come il tuo assistente,« -poi indicando alla mia pancia, si rimise in movimento- »un po’ di ginnastica non ti farebbe male Chief, ciao.«  Disse poi salutandomi in italiano e svelto e con quel suo andare soffice  e silenzioso si mise in corsa verso la sua nave.

Mentre se ne andava, lo seguii un momento con lo sguardo poi seguendo il suo consiglio con brio andai su per la passerella della mia nave e feci correre via due ratti che accanto ai boccaporti mi guardavano incuriositi; poi a grandi passi raggiunsi la poppa, andai in cambusa a prendermi una tazza di caffe ancora caldo, mi sedetti sulla mia bitta in  coperta e mi accesi una sigaretta.

 

Dove ci sta portando il futuro se la vita di un intero equipaggio non vale che una manciata di Dollari.

f.p

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