mercoledì 24 luglio 2013

PIRATERIA NAVALE E CRIMINALITÀ INTERNAZIONALE

Pirateria Navale e altre canaglie internazionali

IMO number:        9041162
Name of ship:       ALBEDO (since 01/10/2009)
Call Sign:      9MDS9
MMSI: 533049200      
Gross tonnage: 10859 (since 01/10/2008)
DWT: 15566
Type of ship: Container Ship (during 1993)
Year of build:        1993
Flag: Malaysia      (since 01/10/2009)
Status of ship:      In Service/Commission       (since 03/03/1993)
Last update : 16/04/2013.

La Motonave Albedo rapita dai pirati nel Novembre del 2010 a circa 1000 miglia marine a est di Mogadiscio è affondata all'ancora della costa somala Domenica scorsa durante una burrasca.

Dei ventitré membri dell’equipaggio formato da pakistani, iraniani e dei marinai dello Sri Lanka non si hanno notizie e sono stati dichiarati per dispersi, assieme a alcuni pirati.
Corre voce che la MN Albedo sia anche stata usata dai pirati come Nave- appoggio durante le loro scorribande nell'oceano Indiano.

Negli ultimi mesi, ogni tentativo da parte dell’armatore di riscattare la Nave sembra sia stato sempre vano.

Dobbiamo partire, se vogliamo parlare della pirateria navale somala, dai prosperi banchi di pesce che fino a diversi anni fa popolavano le acque territoriali Somale, e considerare come i pescherecci di mezzo mondo si dedicarono in quelle acque alla pesca di frodo.

Quando si parla di pirateria navale che iniziò dapprima dalla costa somala per poi estendersi su una gran fetta dell’oceano Indiano, fino a ben oltre 1000 miglia dalla Somalia; non si deve mai perderlo d'occhio questo fatto fondamentale, mai.

Per capire la logica dei pirati somali, bisogna immaginare i bagliori della mafia sicula contro gli stranieri, paragonarla pure ai Carbonari nostrani, oppure ai Vietcong, solo che la pirateria somala non nacque per combattere oppressori stranieri.

La Pirateria Somala non è paragonabile a un’associazione di giovani patrioti per la Libertà, come la Giovane Italia del Mazzini, tanto per dirne una, anche se il Mazzini non fosse certo né Santo né un eroe.

La pirateria non ha statuto o codice d’onore, né tanto meno è stata studiata a tavolino da qualche irredento o soggiogato da Forza straniera.

Furono invece la miseria più nera e la fame, che spinse i pescatori somali a unirsi per dar la caccia ai pescherecci delle Flotte mondiali che stavano distruggendo i loro banchi di pesca e loro unica fonte di vita sicura.

La pirateria navale somala nacque come conseguenza della pesca di frodo, praticata delle flotte di pescherecci mondiali, senza che nessun Governo o organizzazione umanitaria mondiale, si sognasse di denunciare questo saccheggio dell’oceano, che condannava chi non poteva difendersi alla fame e alla morte.

Questa indifferenza nei riguardi della popolazione somala, vale naturalmente  anche per i vari dipartimenti umanitari delle Nazioni Unite.

                   È da lì che nacque la pirateria navale somala, è giusto ricordare quei fatti, com'è giusto e soprattutto doveroso, parlarne con serenità.

Si calcola che la quantità di pesce pescato abusivamente nelle acque territoriali somale ammontasse nei Mesi di punta a oltre 30 milioni di Euro mensili.

Tutto questo scempio era possibile solo perché la Somalia travagliata da guerre interne, non aveva nessuna struttura marinara e nemmeno l’ombra di una Guardia Costiera che potesse tener testa ai pescherecci d’altura di mezzo mondo.

Pure diversi pescherecci italiani, davanti alle spiagge somale, non curanti degli accordi internazionali che vietano la Pesca da parte di unità navali straniere nelle acque territoriali di una Nazione, pescavano in sostanza di frodo ai danni dei piccoli pescatori somali e delle loro famiglie.

Provate ora a pensare cosa succederebbe se un peschereccio giapponese pescasse il tonno nello Stretto di Messina e guardate cosa gli capiterebbe.

Pertanto, mentre in quegli anni i somali dalle loro spiagge vedevano le Navi Fabbrica di mezzo mondo rubare loro i pesci, rendendo la loro uscita in mare con le loro barchette e scialuppe da pesca, in mezzo a quei mastodonti del mare, vana e molto pericolosa, le loro famiglie pativano la fame.

Fu allora che i pescatori somali si armarono e cominciarono a giocare a Robin Hood, andando nel loro mare a prendersi i loro pesci che i pescherecci stranieri stavano loro rubando.

Senza che nessuno lo avesse mai neanche lontanamente previsto, così, alla chetichella, e solo per fame e disperazione, nacque la Pirateria navale Somala, che oggi guadagna milioni di dollari e dà filo da torcere, su barchette e carrette marine, a una flotta agguerrita e ultramoderna come quella impiegata nell'Operazione Navale Nato, soprannominata, “Atalanta”.

Il volume di soldi che girano è pazzesco, se poi a quei soldi ci aggiungiamo i costi dell’operazione di protezione navale “Atalanta”, il tutto diventa quasi incalcolabile e mostruosamente criminale.

Lo stress fisico e mentale degli equipaggi poi, non certo addestrati a far fronte psichicamente a questo tipo di angustie, è senz'altro tremendo, e state più che sicuri che la gran parte di loro entra in uno stato di apatia mentale e torpore corporeo, dove il cervello scollega tutti i sensi e li lascia solo vegetare schermandoli, come un condannato a Morte sul Patibolo, dalla realtà del presente.

Le paure per gli equipaggi arriveranno dopo, a casa o su di un'altra Nave, magari un giorno lontano, navigando di nuovo in quelle acque, non sul momento.

In momenti simili nei molti prevale l’apatia che li può anche condurre alla morte.

Una nave tedesca registrata nel Porto di Bremen e rapita un paio di Anni fa, presentava quattordici membri d’equipaggio, il Comandante indonesiano e tredici filippini.

Pertanto mi è difficile capire perché il contribuente europeo deve finanziare un’operazione navale “Atalanta” per proteggere navi di Armatori europei ma sotto Bandiera di convenienza, con manco l’ombra di un europeo a Bordo.
Sarebbe davvero interessante scoprire, poiché tutti gli armatori piangono sempre il morto e i loro Libri Mastri sono in perenne rosso, da dove vengono i soldi per il riscatto.

Degli equipaggi, diciamolo pure senza paura di sbagliare agli Armatori interessa ben poco, loro rivogliono la nave, i noleggiatori reclamano la loro merce e la vogliono subito e le assicurazioni, i P&I (Protection and Indemnity) vogliono risolvere la questione al più presto e l’Armatore paga, in contanti, sul luogo e non attraverso le Banche.

Nel frattempo pero, i ritardi di consegna causano altri costi a chi attende la merce e qui si apre subito un altro mercato assicurativo, con altre richieste di risarcimento danni.

L’organizzazione per pagare il riscatto è perfetta, i soldi sono gettati con paracadute in mare in un punto prestabilito dagli emissari dei pirati, che per scopi “umanitari” fanno da tramite, tra i somali e gli Armatori.

Gli involucri stagni contenti il riscatto, sono raccolti in mare dall'equipaggio di una scialuppa che li porta a Terra.

In questo preciso momento comincia il mio odio verso i Pirati, che nasce dal semplice fatto che ormai con tutti i milioni di Dollari in riscatto, già pagati, la fame e la miseria, le malattie e l’analfabetismo in Somalia dovrebbero essere già spariti da un pezzo e invece esistono ancora.

La spiegazione è semplice: ora la Pirateria Somala è sfuggita di mano ai pescatori affamati di un tempo.

I loro figli sono diventati la manovalanza di un’organizzazione criminale internazionale, con ramificazioni nelle Banche dell’aerea mussulmana e africana.

I Pirati non hanno una logistica marittima propria che li porta in un determinato punto ad attendere una determinata Nave.

I pirati escono in mare, scelgono la preda, come i felini nella savana scelgono un animale in una mandria e cercano di prendersela, se non ci riescono, abbandonano la preda, la lasciano andare e se ne cercano un'altra.

I pirati insomma si comportano proprio come i predatori delle Savana ai quali non importa se predano una zebra o un bufalo o una gazzella; anche per loro vige il detto: basta che se magni, non vi pare?

A tutto Dicembre 2010 sono ventisei le navi rapite con un totale di 617 persone d’equipaggio.

L’Anno scorso le navi rapite furono quarantasette, i rapimenti tentati e sventati, riportati e schedati furono 218.

Negli anni, nel complesso è stato pagato un riscatto per oltre 300 navi, ora calcoliamo, circa dieci milioni di media per nave e arriviamo a tre miliardi di dollari, se invece diamo credo ad altre fonti, parliamo di un totale di 500 Navi e si arriva a cinque miliardi, mentre in Somalia continuano a morire di fame.

Di fame non muoiono invece i veri pirati, cioè gli aguzzini dei pescatori corsari, che siedono alle Nazioni Unite, e che maneggiano dal retroscena, questo turpe business internazionale e inaspettata pioggia di dollari.

Lo stesso vale per i pirati nigeriani sul Delta del Fiume Niger, per quelli del Camerun e quelli veramente crudeli e assassini, cioè gli asiatici dell’Indonesia e Malaysia.

Almeno la pirateria del Corno d’Africa si potrebbe quasi eliminare, circumnavigando il Continente africano, ma ciò costerebbe troppo e l’economia egizia che dipende in gran parte dagli introiti del Canale di Suez, che ne risentirebbe e pure parecchio, castigando così anche chi non ha nessuna colpa in merito.

Secondo l’organizzazione OBP “Ocenas Beyond Piracy” gli armatori hanno versato alle varie assicurazioni navali qualche cosa come 635 milioni di dollari.

Una cosa qui deve essere ben chiara, questi costi sono voci di bilancio e spese tornanti, Anno dopo Anno, dopo Anno!

La stessa associazione “OBP” poi tirandosi dietro l’ira dell’industria assicurativa navale quando sempre per il 2010 in un secondo rapporto, stabilì il costo totale della lotta alla pirateria, sempre nel 2010, sui 460 milioni di dollari.

Alcuni esperti invece, hanno inoltre stabilito che il totale delle quote assicurative (War Risk) per il 2011 si aggirava sui 230 milioni di Dollari per il 2011.

Diverse Assicurazioni navali si sono già distanziate da questo mercato Assicurativo e non emettono più polizze assicurative anti-pirateria.

Altre Assicurazioni valutano l’attuale mercato a non più di 120 milioni di dollari mentre altre ancora, arrivano a stabilirsi sui 230 Milioni di dollari.

OBO calcola che per il 2011 solamente per le navi cisterna, furono sborsati, 160 milioni di dollari in quote assicurative.
La seconda voce in ordine di grandezza riguarda le Navi porta contenitori con circa 140 milioni di dollari, seguono poi le carboniere con poco più di cento milioni e tutte le altre con cifre che variano dai venticinque ai due milioni di dollari.

È anche stato previsto un rimborso del 30% nel caso di mancato rapimento.

Calcolando il rischio di Guerra e rapimento sulla base dello 0.1% sul prezzo delle Navi si arriva a circa 635 milioni di dollari.

Le navi in transito in quelle acque sono circa quarantatré mila, ogni anno, il che dovrebbe anche dare un’idea dei quanti miliardi di dollari annui incamera l’Egitto con il canale di Suez.

Le misure di prevenzione di abbordaggio, a Bordo, basandosi sul numero delle navi in transito a Suez, sono estimati, secondo sui vari prezzi di mercato per filo spinato, segnali acustici e accorgimenti vari, a circa 45 milioni di dollari.

Personale armato a bordo delle Navi sia se di agenzie di protezione private come ad esempio la “Blackwater”, o militari, riduce la quota assicurativa della nave in transito in acque infestate dai pirati del 35%.

Adesso viene il bello:

Questo naturalmente vale anche per le navi con personale militare a bordo come nel caso della “Enrica Lexie” ad esempio, dove con quattro fucilieri di marina a costo zero la Società Armatrice F:lli D’Amico si vede ridurre la sua quota assicurativa del 35% calcolato allo 0,1% delle prezzo della Nave al momento dell’arresto a Kochi da parte di discutibili e alquanto deplorevoli “autorità” indiane.

Il prezzo della Motocisterna Enrica Lexie si dovrebbe aggirare sui 300 milioni di Dollari.

Le Navi registrate in Porti europei, ma battente bandiera ombra, dove ogni secondo Registro Navale anche quello italiano e da considerarsi bandiera di convenienza; non pagano le tasse allo Stato in base al loro guadagno annuo; bensì versano un esigua cifra calcolata in base al tonnellaggio della Nave, nel caso della Enrica Lexie sono poche decine di migliaia di dollari l’anno.






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