La Motonave Condor (Storie di uomini e di navi, Band 1)
(Italienisch) Taschenbuch – 16. März
2017
von Franco Parpaiola (Autor)
•Taschenbuch: 314 Seiten
•Verlag: Independently published
(16. März 2017)
•Amazon Kindel
•Sprache: Italienisch
•ISBN-10: 1520853440
•ISBN-13: 978-1520853444
• Größe und/oder Gewicht: 15,6 x 2 x
23,4 cm
Versione cartacea ed elettronica
Il maledetto ronzio di un’aspirapolvere mi svegliò in modo piuttosto brusco e, come tutte le mattina mi ripromisi di strozzare la ragazza delle pulizie.
Solo dopo aver fumato una sigaretta, mi accorsi che era mezzogiorno e che avevo dormito quasi per venti ore consecutive.
Con la gola arsa mi diedi una
veloce lavatina ai denti, mi lavai la faccia come i gatti e poi, vestendomi di
fretta, mi precipitai giù per le scale.
Giunto al banco, Paco il cuoco,
che di solito a quell’ora e solo nel locale; mi mise subito davanti un bel
bicchiere di succo d’arancio e, accorgendosi che l’avevo bevuto tutto d’un
fiato, me ne mise davanti un altro.
Solo allora mi accesi un'altra
sigaretta e mi versai una tazza di caffè.
»Da come ti vedo devi aver avuto
una notte bestiale.« scherzò il giovane cuoco sorridendo.
»A ragion del vero devo dirti che
fu l’altra notte ad essere bestiale, questa passata l’ho dormita tutta e per
quasi venti ore filate.« Risposi accendendomi un'altra sigaretta.
Il giovane non rispose mi guardò incredulo e si versò
a sua volta una tazza di caffè.
»Vieni questa sera a cena qui da
noi?« mi chiese dopo avere sorseggiato il suo caffè.
»Che cosa prepari di buono?«
»Baccalà con le patate.«
»Alla portoghese?«
»Eh sì, altro non saprei.«
Rispose lui in tutta sincerità
»Va bene, ci sarò!« Promisi,
bevetti il caffè e me ne versai subito un altro.
Taciturno come sempre, Paco
annuì, si prese la sua tazza di caffè e se ne andò in cucina.
Nell’ora che rimasi al banco,
bevetti un paio di tazze di caffè e mi fumai diverse sigarette. Solo dopo questa frugale colazione mi decisi
a svegliarmi completamente e a uscire per andare alla conquista del mondo.
In strada il mondo si presentò
subito un po’ infelice.
Il cielo era nuvoloso e tirava un
vento dispettoso e umido.
La mia ennesima visita a La
Grotte si rivelò un vero buco nell’acqua.
Bronka non c’era. Al suo posto
dietro il banco trovai una figura femminile dai capelli stranamente ossigenati
e con delle strisce viola e rossastre, un vero e proprio incubo dalle tette sbilenche
e dalla faccia piena di stucco con sopracciglia nerissime e giganti.
Il profumo che emanava quella
donna era dolciastro e ripugnate e, come se non bastasse, non appena mi ero
seduto, quella, senza nemmeno salutare o chiedermi cosa volevo bere, sfacciatamente
mi domandò se le pagavo da bere.
Mi alzai come morso da una
tarantola e riguadagnai l’uscita, promettendomi di chiedere a Kelly dove
diavolo andava a cercare certe comparse da museo degli orrori.
Andai a “La Cave”, il terzo e
ultimo locale di Kelly nel quartiere ma anche lì, vuoto com’era, era peggio che
andar di notte.
La ragazza dietro il banco era
un’ex di tante cose.
Molti anni fa era stata una bella
donna, una regina di bellezza di provincia, poi animatrice e accompagnatrice di porci facoltosi, poi alcolizzata, poi drogata, e infine incarcerata per furto e truffa, la conoscevo e sapevo anche
della sua evoluzione fatta di sogni di notorietà e fantasie varie, di luci
rosse e infine, di alcool, droga e carcere.
Marejke mi faceva veramente pena.
Kelly quasi a mo’ di carità, ogni
tanto la faceva lavorare di mattina in quel suo locale.
Le sarebbe bastato controllarsi
un poco e non toccare più l’alcol, diventare affidabile e lui l’avrebbe subito
assunta con posto fisso dietro il banco.
Marejke invece era troppo
alcolizzata, forse ormai del tutto avvelenata dall’alcol e dalla droga.
Un bar, in un caso simile, non
era certo il posto adatto a chi di cure anti-alcoliche ne aveva già fatte e
interrotte diverse.
La strada che la giovane donna
aveva intrapreso l’avrebbe portata presto diritta al cimitero, di questo ne ero
sicuro.
Silenziosa, Marejke mi spillò una
birra e, quasi fosse in grado di leggere il mio pensiero, annuì guardandomi
dritto negli occhi; non disse una parola, mi guardò annuendo solamente per un
piccolo lungo istante e silenziosa, si
ritirò dall’altra parte del banco a centellinare il suo caffè.
Nel bar ci rimasi poco, bevetti
solo due birre e, conoscendo le sue condizioni economiche, pagai con venticinque
fiorini e le lasciai il resto come mancia.
Lei mi guardò di nuovo annuendo e
mentre uscivo, mormorando un saluto e un ringraziamento quasi impercettibili,
ritornò al suo caffe e le sue parole incrociate dall’altra parte del banco.
Marejke la fece finita, come mi
dissero un giorno i miei amici, un paio di settimane dopo la mia partenza da
Rotterdam con la motonave Condor.
La trovarono un mattino nella
stanza che Kelly le aveva messo a disposizione senza pretendere nessun affitto.
Una bottiglia di vodka e un
tubetto di aspirine in poche ore avevano messo fine a una vita troppo fragile
perché potesse vivere da sola, o forse, magari anche troppo individualista o
volubile, per vivere in compagnia.
Uscii da “La Cave” senza nemmeno
sapere dove volevo andare.
La giornata era insulsa, la
strada deserta, quella mattina, tutto mi
dava fastidio; tutto: I locali chiusi, la gente che non c’era, le puttane
ancora addormentate a smaltire la sbornia della notte passata, gli amici
spariti e inghiottiti in qualche angolo di mondo con il solo biglietto di
andata; tutto ciò mi dava fastidio e mi faceva venire quasi il voltastomaco.
Cosi incasinato e di umore strano, quella mattina feci l’unica cosa che mi sembrava sensata da fare: Dal giornalaio mi presi il Bild-Zeitung, dal panettiere cinque panini freschi, dal salumiere dello speck di Merano, del salame Milanese e un litro di latte e, mandando a ramengo il triangolo delle Bermuda con tutti i suoi casini e problemi, ritornai nella Pensione, dove in camera mi lessi il giornale, mi mangiai un paio di panini annaffiandoli con il latte e poi mi rimisi a dormire.
Puntuale verso le otto di sera
ero di nuovo in strada e mi stavo dirigendo direttamente al “Majestic”.
Volevo salutare velocemente un
mio amico che si era messo in orbita e ritornarmene subito all’Algarve a
mangiarmi il baccalà che Paco aveva preparato per la cena.
Quella sera il “Majestic” era
gremito di gente, la creme della creme dell’imprenditoria armatoriale dei
dintorni aveva una delle sue famose festicciole, dove i dirigenti dei piani
superiori diventavano semplicemente dei porci.
Qualche anno prima, serate del
genere erano all’ordine del giorno.
Le Società di navigazione e i
cantieri navali usavano animare e intrattenere senza badare a spese i loro
clienti VIP nel bordello di Kelly che non finiva mai di ricordarmi che ero
stato proprio io a suggerirgli di aprire un bordello.
Diversi anni prima, quella famosa
sera nel “La Cave” dove per scherzo suggerii a Kelly di aprire un
bordello; il locale era vuoto per via di
un temporale che da ore imperversava sulla città e noi due avevamo cominciato a
parlare del più e del meno, ricordandoci di questo e di quello.
Quella sera tra un discorso e
l’altro, Kelly mi svelò la sua intenzione di aprire nei tre piani di sopra o
una pensione o delle stanze da affittare mensilmente ai marittimi.
Ridendo e scherzando, gli
consigliai di aprire un bordello di lusso.
Lo dissi così, scherzando e
ricordandogli che alla fine della cuccagna petrolifera nel mare del Nord, tutto
si sarebbe calmato e di conseguenza, anche la richiesta di stanze o
appartamenti da parte degli addetti ai lavori, sarebbero così venuti a mancare,
mentre, gli ricordai, un bordello da che mondo è mondo, specialmente se di
lusso, avrebbe avuto sempre da fare.
Ridemmo entrambi.
I suoi angeli della notte che, a
quel tempo erano olandesi e che avevano ascoltato la nostra conversazione, mi guardarono
subito in cagnesco e così lasciammo cadere il discorso.
Un anno dopo, per pura combinazione, mi trovavo con la mia nave in porto a Rotterdam, proprio il giorno dell’inaugurazione del suo terzo locale nel quartiere e cioè il “Majestic”, il bordello di lusso che gli avevo scherzosamente consigliato e naturalmente, fui subito invitato a partecipare al party inaugurale.
# # #
Entrai al Majestic cercando di
arrivare al banco e Karla fu la prima a scovarmi; la vidi bisbigliare qualche
cosa nell’orecchio di un tizio che poteva essere suo padre e venne da me al
bar.
»Il tuo amico è un disgraziato!«
-Mi apostrofò incazzata nera- »pensa un po’ tu, solo verso mezzogiorno siamo
riuscite a convincerlo ad andare a dormire e ora sta dormendo nella mia stanza.
Quel porco ha pure pisciato e vomitato nella Jacuzzi e ora non riesco a
svegliarlo. Questa gli costerà molto caro credimi. Mi serve la stanza e quello
dorme nel mio letto di lavoro. Meno male che questi vecchi porci qua vogliono
sempre due ragazze e così uso la stanza della mia amica… ciao marinaio, devo
andare a lavorare, vieni a trovarmi qualche volta, la strada la conosci.« Tutta
sorridente mi salutò e se ne ritornò al tavolo dal suo babbeo di turno.
Solo allora Tom mi vide e mi
preparò subito una Bloody Mary.
»Questa la offre la casa, ma dimmi, cosa devo fare; Sven ci ha dato in
consegna altri venti mila fiorini che aveva prelevato in banca… ora sono da noi
in cassaforte e neanche Jana o Kelly sanno cosa fare.«
»Semplice,« -gli risposi-
»lasciatelo dormire. Rimarrà qui da voi ancora per un paio di giorni, di questo
puoi star sicuro, vedi Tom, tutto questo deve averlo programmato perché
altrimenti non si sarebbe appreso tanti soldi. Lasciatelo fare, tra un paio di
giorni si calmerà.«
Subito dopo salutai Tom
dicendogli che volevo andare a dormire e andai a salutare Jana che come sempre,
sedeva alla sua scrivania nell’atrio davanti alle scale.
»Hai sentito? Sven sta rompendo
tutti i record!« -mi salutò lei sorridente- » e Karla mi diceva che ha anche
fatto la pipì e vomitato nella Jacuzzi. Aggiunse poi scuotendo la testa.
»Lascialo dormire Jana e quando
si sveglia presentagli il conto. Tra un paio di giorni si calmerà e ritornerà a
lavorare.«
Stavo per andarmene quando vidi Nicole in compagnia
di due agenti marittimi di mia conoscenza mentre scendevano le scale.
Sembrava un po’ sgualcita e
stanca ma era pur sempre una gran bella donna.
Nel vedermi i due, un
po’impacciati, si affrettarono a passarmi davanti e a sparire tra i loro
colleghi nel bar ed io feci finta di non vederli.
»Le tue pastiglie sono molto
buone.« -mi salutò tutta eccitata Nicole- »oggi me ne sono procurate delle
altre e ora anche le mie colleghe le usano.« -mi spiegò tutto un fiato- »ho molto
lavoro e guadagno bene… qui è bello far bum-bum e guadagnare pure dei bei
soldi… molto meglio che in Lituania dove a volte, invece dei soldi, prendevo le
botte.« Mi informò tutta raggiante e civettuola.
»Ben venuta nell’ occidente d’oro
Nicole.« Commentai un po’ interdetto da tanta sincerità.
»Vieni con me questa notte, si?«
mi chiese accattivante.
»Un'altra volta, questa sera ho
una cena con amici. «
»Bene ti aspetto, ora però devo
andare, ciao e grazie di tutto!«
Salutandomi Nicole s’incamminò
sculettando verso il suo El Dorado ed io mi girai a salutare Jana, che
divertita, aveva seguito la nostra piccola conversazione.
»Stammi bene,« le dissi, posando
il mio bicchiere accanto ad un vaso di fiori su uno dei tavolini nell’ atrio.
»Penso che adesso passeranno un
altro paio d’anni prima che tu ritorni quassù a trovarci, non è vero?»
»Ci rivedremo senz’altro qualche
volta giù al bar,« risposi incamminandomi giù per le ripide scale.
»Ciao marinaio e tieni sempre gli
occhi aperti!« mi salutò di rimando.
Girandomi, le feci l’occhiello, e
me ne andai a cena nella Pensione Algarve, dove mi attendeva un piatto di
Baccala alla portoghese.
Nessun commento:
Posta un commento