giovedì 11 febbraio 2021

 

Majestic

 

ari amici, non scandalizzatevi, e solo vita vissuta.

Brano tratto da: La Motonave Condor (Storie di uomini e di navi, Band 1)

(Italienisch) Taschenbuch – 16. März 2017

von Franco Parpaiola (Autor)

•Taschenbuch: 314 Seiten

•Verlag: Independently published (16. März 2017)

•Amazon Kindel

•Sprache: Italienisch

•ISBN-10: 1520853440

•ISBN-13: 978-1520853444

• Größe und/oder Gewicht: 15,6 x 2 x 23,4 cm

Versione cartacea ed elettronica

 

Majestic a Rotterdam

 

 

… La crisi nei trasporti marittimi, il crollo del mercato navale causato da un’insensata corsa a nuove costruzioni navali, senza tener conto delle vere esigenze di mercato, aveva causato un crollo dei noli tanto da renderlo  inconveniente e e fatto fallire diverse società armatoriali e agenzie marittime olandesi. 

I primi a risentirne furono appunto i locali notturni e i bordelli del quartiere che, tra agenti marittimi, ispettori e provveditori navali, armatori e amministratori vari, si persero così i loro clienti migliori. 

Verso le tre del pomeriggio nel bar La Grotte ero ancora l’unico cliente, Bronka la ragazza polacca dietro il banco non parlava né il tedesco né l’inglese e masticava poco l’olandese, rendendo un qualsiasi colloquio quasi nullo. 

Bronka diventava loquace e stranamente poliglotta quando aveva bevuto qualche cosa; solo allora capiva il tedesco, l’inglese e l’olandese ma bisognava scioglierle la lingua con una mezza bottiglia di Vodka, cosa che quel giorno non volevo assolutamente fare. 

Quel primo pomeriggio tre piccoli marinai filippini apparvero davanti alla porta del bar, volevano entrare ma come videro Bronka dietro il banco, rimasero impalati li come fulminati. 

Dalla mole di un metro e novanta per centocinquanta chili e passa che Bronka si portava appresso, di piccoli filippini così se ne avrebbero potuti ricavarne due se non tutti e tre e sicuramente, ne sarebbe pure avanzato qualche cosa. 

I tre entrarono ma non si sedettero; rimasero li, davanti alla porta e guardarono guardinghi e sospettosi l’arredamento del locale. 

Videro le sue luci rosse, il banco con i seggioli ricoperti di pelle di mucca bianca e nera; le pareti ricoperte di laminato di legno pregiato; i piccoli tavolini appartati in fondo al locale sotto una vetrata di mosaico colorato che raffigurava Bacco con le corna di caprone e i piedi di porco danzare beato tra le ninfe dell’Olimpo e decisero che quel locale non faceva per loro e per il loro portafoglio; si guardarono in faccia quasi sbigottiti; si girarono sui tacchi e se ne andarono.

I veri clienti del bar entrarono poco dopo. 

Anche loro erano in tre e ci conoscevamo pure. 

I tre nuovi arrivati erano Rudy di Lubecca, Willy di Rotterdam e Charly il londinese.

I Tre erano in giro tra i locali del quartiere, conosciuto a tutte le genti di mare del mondo sotto il nomignolo: Triangolo delle Bermuda.

Solamente Willy era un vero marittimo ancora navigante, un Capitano di rimorchiatori d’altura, un marittimo di vecchia scuola che, come venni a sapere più tardi, aveva perso il suo lavoro per questioni di abuso d’alcolici a bordo, cosa che naturalmente e senza mezzi termini condannavo.

Rudy di Lubecca invece aveva navigato ma non per molto tempo.

Anche lui era un Comandante nautico, era però anche in fuga dalla Germania con ben due mogli alle calcagna che lo volevano scuoiare vivo e un tribunale che lo voleva sbattere in galera per bigamia e altre piccolezze come truffa aggravata ed emissione di assegni vuoti.

Il piccolo e taciturno Charly non era niente di tutto questo.

Charly era solo un ladruncolo e borsaiolo di professione che si era specializzato nella falsificazione di documenti e basta.

Durante una lunga pausa di lavoro in un albergo statale in Olanda, Charly aveva appreso l’arte della tipografia off-set e così, con un piccolo investimento personale e le sue conoscenze nel giro, era riuscito a procurarsi tutto ciò che gli serviva per falsificare ogni tipo di documento come passaporti e carte d’identità e patenti automobilistiche.

Il suo business andava a gonfie vele e i suoi clienti erano in prevalenza africani e sudamericani in cerca di una nuova identità.

Specialmente i documenti italiani erano molto in voga tra gli africani e sudamericani che parlavano l’italiano.

Rimanemmo seduti al bar fino verso le diciassette, ridendo e scherzando con Bronka e ammirando la sua capacità di spillare birra sotto le sue tette senza spanderne una goccia, finché decidemmo di continuare l’escursione nei bar del vicinato; pagammo il conto come sempre alla romana e uscimmo salutando Bronka, promettendole di ritornare.

Girammo per i locali bevendo una birra qua e là, salutando questo e quello e, senza fermarci troppo in un locale, girammo in poche ore tutti i bar del vicinato uscendo in strada solo per infilarci subito nella porta accanto.

Alla fine del giro verso le nove di sera ci ritrovammo di nuovo difronte al nostro punto di partenza.

A quell’ora Bronka non c’era più.

Alla sera Kelly sfoggiava i suoi angeli della notte, giovani e graziose turiste provenienti della Lituania o dell’Ucraina

Durante l’estate, poi, nelle ore serali si potevano incontrare anche turiste italiane “Au pair,” Ladies della notte che racimolavano un po’ di soldi durante le loro vacanze, come tra l’altro facevano d’estate le loro colleghe olandesi e tedesche, lungo le spiagge e le coste italiane.

In quel periodo, gli angeli della notte di Kelly parlavano in prevalenza il russo e un poco d’inglese.

I tempi erano cambiati e pertanto noi non ci meravigliammo proprio nel trovare il locale vuoto con un solo avventore seduto in fondo al banco che buio in faccia, guardava la sua tazza di caffè e il suo bicchiere di cognac vuoto accanto.

Le tre ragazze, quasi avessero paura del cliente che taciturno non le degnava di uno sguardo, si erano messe tutte e tre, come delle gallinelle impaurite, l’una vicina all’altra dall’altra parte del locale e lo guardavano circospette.

Il loro viso si rischiarò quando ci videro entrare e conoscendoci, si rilassarono.

La loro paura però era infondata, infatti, il silenzioso e taciturno e solitario avventore non era altro che il mio caro amico e collega Sven che sapevo sposato e felice padre di due figli adolescenti.

Probabilmente anche lui era in ferie; quello che mi sorprese e di non poco invece, era il fatto di vederlo in giro a quell’ora.

Lo conoscevo come una persona quieta e casalinga, tutta casa e famiglia, che non avrebbe fatto del male nemmeno a una mosca.

Sven era un appassionato di animali domestici e nella sua fattoria nella periferia di Rotterdam aveva tra l’altro diversi cavalli, che letteralmente adorava.

»Non ti addormentare dentro una tazza di caffe Sven, svegliati, che cosa fai in giro a quest’ora?«

Gli chiesi piazzandomi accanto a lui, mentre gli altri si collocavano sui “loro” seggioloni preferiti un po’ più in là, di fronte ai tre angeli della notte.

Sentendo la mia voce, Sven sembrò scuotersi dal torpore mentale che lo aveva avvolto: Sollevò lo sguardo dalla tazza vuota che gli stava davanti e guardò nello specchio della vetrina dietro il banco.

Vedendomi, la sua faccia si rischiarò e saltando giù dal suo seggiolone, si alzò con i suoi due metri di altezza e abbracciandomi festoso, mi chiese da che inferno sbucassi.

A dire il vero più che chiedermelo Sven urlò e la sua voce rauca e profonda tuono nel locale come l’urlo di un bestione preistorico del Neander.

»Vieni subito qui!« -Ordinò a una delle tre ragazze, dopo aver salutato anche gli altri tre- »ad ognuna di voi tre, offro un piccolo spumante e dacci anche sei birre.«

La ragazza che sicuramente aveva capito bene solo “piccolo spumante” si affrettò a prendere tre piccole bottiglie dal frigo e a darle alla sua amica mentre l’altra prendeva tre bicchieri, solo allora si ricordò della birra e, quasi temendo di sentirsi apostrofare un'altra volta da quella voce cavernosa tipica del mio amico; si accinse a spillarci le piccole birre che come da sempre, eravamo abituati a bere.

Convinte di aver rotto il ghiaccio e di potersi accaparrare i nuovi arrivati per altri Drink, due delle ragazze cercarono subito di avvicinarsi a noi.

Sven le gelò subito con un perentorio gesto della mano.

»State ferme dove siete e non disturbate. Devo parlare con i miei amici e questi son discorsi da uomini!« Ordinò severo e senza indugi.

Le ragazze si ghiacciarono nei loro movimenti e tranquille e rassegnate si risedettero dall’altra parte del banco accanto alla loro amica e connazionale e non osarono più fiatare.

»Mia moglie ha chiesto il divorzio,« -ci spiegò dopo avere trangugiato d’un fiato la sua birra, e, senza badare se avevamo bevuto la nostra ordinò un altro

giro- »ciò mi fa male, ma quello che mi fa ancora più male, è che lei durante la mia assenza ha venduto tutti i mei animali, anche i miei cavalli e quando sono arrivato a casa dal mare e mi sono arrabbiato, lei per tutta risposta ha chiamato la Polizia e mi ha cacciato di casa buttandomi i soldi ricavati della vendita, tra i piedi.«

Sapevo che Sven amava gli animali.

Nella sua vita esistevano solamente i suoi animali, sua moglie e i suoi due figli, una ragazzina di tredici anni e un ragazzo di dieci, li amava esattamente in quest’ordine: gli animali, la moglie e i figli e a nessuno di loro faceva mancare qualche cosa.

Sven era tutto casa e famiglia.

L’unico inconveniente familiare era che lui, amava gli animali tanto da parlare con loro come se fossero dei cristiani.

Il guaio era che lasciava il compito di accudirli a sua moglie e ai suoi figli.

Secondo lui questi erano lavori per sua moglie e i suoi figli, »Per imparare a capire gli animali si doveva prima imparare ad accudirli.« Disse a sua moglie e le assegno il compito di prendersi cura di tutto il suo Zoo domestico.

»Tutto quello che ci appartiene, è a suo nome, la casa, la macchina, il terreno, gli animali, tutto, meno che il nostro conto in banca. Quello è solo a mio nome. Oggi però le ho lasciato sufficienti soldi per i prossimi sei mesi ma so anche che vuole vendere tutto per affittarsi un appartamento in città e ricominciare il suo lavoro d’insegnante di scuole elementari.«

Sven parlava quasi con distacco ma, da come lo conoscevo, capivo che il nostro amico si sentiva veramente a pezzi.

»Non avresti dovuto vendere i miei cavalli!« Tuonò Sven, battendo una manata sul banco del tavolo, come se sua moglie fosse lì tra di noi.

Dal mucchietto delle ragazze dall’altra parte del banco partì un piccolo coro di gridolini impauriti che terminarono, non appena lui ordinò altre tre piccole bottiglie di spumante e altre cinque birre.

Conoscevo bene sua moglie e i suoi due bambini.

In passato quando Sven ed io lavoravamo insieme sui rimorchiatori americani del mare del Nord, ero stato spesso ospite a casa sua e avendo visto con i miei occhi la loro situazione, non potevo certo biasimare sua moglie di aver agito come aveva fatto.

Infatti, nella fattoria dove vivevano, con il passare del tempo lui si era racimolato un intero zoo di animali domestici.

Oltre ai sei cavalli, aveva quattro asini e quattro Shetland ponies, diverse anatre, oche e galline alle quali doveva accudire solamente sua moglie.

La povera donna a un certo punto, non doveva avercela fatta più e senza indugi, aveva venduto tutto il dannato zoo che le stava logorando la vita a un vicino agricoltore e buttato i soldi tra i piedi del mio povero amico che messo davanti al fatto compiuto, andò in escandescenze e dovette pure lasciare il tetto coniugale, sotto scorta della polizia.

Disperato e solo, Sven aveva fatto l’unica cosa che in un momento del genere poteva fare e cioè era venuto a Rotterdam a rincuorarsi un poco da Kelly e lì; aveva trovato alcuni dei suoi amici.

»Questa sera berremo alla salute dei miei cavalli e di tutti gli altri miei amici che mia moglie ha venduto.« Sentenziò; ordinando altre tre piccole bottiglie di spumante e cinque birre.

Sven ormai si era scatenato e a nulla sarebbero valse esortazioni o ipocriti discorsi di convenienza.

Vista la piega che aveva preso la serata, rimanemmo seduti accanto a lui e demmo tempo al tempo.

Kelly ritornò verso mezzanotte.

Quando il locale, come quella sera, era quasi vuoto, se ne andava via.

Quasi scappa nel vicino Club dei greci a passare la serata giocando a carte con i suoi amici e ritornava solo verso l’ora di chiusura per riportare i suoi angeli della notte a casa.

Quella sera noi eravamo stati gli unici avventori nel locale ma, proprio grazie al dispiacere di Sven, in cassa a conti fatti c’erano tra le dodici bottigliette di spumante che le tre ragazze si erano bevute e le trentacinque birre che avevamo bevuto noi; ben 725 Fiorini.

Noi volevamo pagare le nostre birre ma Sven si rifiutò e mettendo ottocento Fiorini sul banco, lasciò il resto come mancia alle tre sorridenti ragazze che, visto l’andazzo della serata; non provavano e non avevano più paura di quell’omone che, in pochi minuti, si era visto frantumare tutto il lavoro di una vita.

Una volta in strada non dovemmo andare lontano.

La porta accanto portava al secondo piano della stessa casa, dove Kelly aveva uno dei locali notturni più belli e costosi di tutta Rotterdam.

In quel night ci avevo messo piede una volta sola e cioè il giorno dell’inaugurazione.

Il locale, più che un semplice night club, era un costoso bordello con suntuose stanze da mille e una notte, tutte fornite di una vasca da bagno con la Jacuzzi, la sauna privata e bar fornito di ogni ben di Dio.

I VIP o le comitive di “desperados” della notte, potevano anche affittarsi un piccolo appartamento a più stanze a millecinquecento Fiorini a testa, tutto compreso, esclusi i Drinks per le assetate ragazze; naturalmente una Bottiglia di Moet et Chandon al Majestic costava settecentocinquanta fiorini.

I desperados della notte per noi non erano altro che gli amministratori e agenti marittimi di alta levatura che spesso e volentieri, passavano intere notti di lavoro in bordelli simili, spendendo i soldi rubati al fisco o dalla busta paga dei marittimi asiatici.

»Ora andiamo a far visita al Majestic, siete invitai a venire su con me a bere qualche cosa in onore dei miei cavalli.« Disse Sven e deciso, suonò il campanello premendo il pulsante tre volte.

La pesante porta di legno dorato si aprì silenziosa e in cinque iniziammo la scalata delle ripide scale tipiche delle abitazioni olandesi, mentre la porta, come guidata da una mano fantasma, si richiudeva da sola alle nostre spalle.

Nel Majestic regnava la pace più assoluta e se non fosse stato per le luci colorate che danzavano come folletti variopinti su e giù per le colonne luminose e per le cinque ragazze in un’impeccabile e succinta tunica greca, sedute a uno dei tavoli, si poteva anche credere di essere entrati in un convento di suore in clausura.

Fino a poco più di un anno fa Kelly aveva circa una decina di ragazze nel Majestic, giovani olandesine in cerca di guadagno facile.

Un giorno però si vide costretto a cambiare le sue collaboratrici, con ragazze dell’Europa orientale.

Una sera successe che un certo signore facoltoso e ben visto agente marittimo e grande desperado della notte, vide nel locale la sua cara figliola, poco più che maggiorenne, seduta al banco in compagnia di un signore di mezza età.

La cara figliola non lavorava per Kelly, lei era li, solo di passaggio e vedendo il caro paparino entrare, fuggì subito via.

Questo increscioso esempio di vita famigliare convinse Kelly a cambiare i suoi angeli della notte olandesi con quelli stranieri.

Il pericolo che dei consanguinei si potessero di nuovo incontrare all’improvviso nel suo bordello era per lui e per il suo buon nome di uomo discreto e silenzioso, veramente troppo grande e controproducente.

»Guarda chi si vede e c’è pure Franco che si è deciso finalmente di venirci a trovare.« Ci salutò sorridente Jana, l’imperturbabile cassiera e scrutinatrice di chiunque volesse entrare.

» Ciao Jana,« -salutai divertito vedendola così sorpresa di vedermi- »il guaio è che queste scale sono troppo ripide ed io non ha più vent’anni.« Replicai mentre le porgevo la mano.

Conoscevo Jana sin dai primi giorni in cui lavorava come cassiera e amministratrice del Majestic, spesso c’eravamo incontrati giù al bar e avevamo bevuto qualche birra insieme.

Conoscevo anche Tom il barista.

Lo conoscevo da “La Grotte” dove qualche volta subentrava quando, per una o per l’altra ragione, Kelly si trovava un pomeriggio senza personale.

Sven non ci diede tempo per altri convenevoli.

Si sedette all’inizio del banco e con la sua voce da caverna, ordinò perentoriamente da bere per tutti.

»Birra per noi e una bottiglia di Champagne per voi!« Disse a Tom che, da dietro il banco, ci stava osservando un po’ perplesso e forse non sapeva cosa pensare della nostra improvvisa apparizione.

»Questa sera, voi siete tutti miei ospiti,« -tuonò di nuovo nel locale- »mia moglie mi ha cacciato di casa, ha venduto tutti i miei cavalli e tutto il resto. Ora vuole vendere anche la casa ed io voglio far baldoria.« Spiegò all’esterrefatto Tom che, appena ripresosi dalla sorpresa, si affrettò a spillarci le birre e ad aprire una bottiglia di Mouet et Chandon.

Lo stappo della bottiglia di champagne non fu altro che il segnale d’attacco per le ragazze sedute al tavolo.

Karla, la dea dell’olimpo di origine greca ma tedesca di nascita, si alzò per prima e come una tigre famelica si avvicino a Sven, appiccicandosi subito a lui come una sanguisuga; le altre tre andarono dai miei compagni e visto che non mi conoscevano, io rimasi solo al banco con la mia birra.

Un'altra ragazza, l’ultima del quintetto era rimasta seduta al tavolo e mi guardava indecisa su cosa fare.

»Avvicinati senza timore figliola, vedrai che non mordo« La incoraggiai scherzando in olandese.

La ragazza si alzò e mi venne incontro.

Vestita con la tunica greca bianca e con una cordicella dorata ai fianchi, mi sembrava veramente di vedere una Dea dell’Olimpo calata su questa terra a rallegrare gli uomini.

La sua chioma nera era in perfetto contrasto con il bianco della sua tunica, e i suoi bei occhi sembravano quelli di una piccola pecorella impaurita di fronte al lupo mannaro.

»Mi chiamo Nicole e vengo dalla Lituania, ancora non parlo l’olandese, possiamo parlare in tedesco? Capisco anche un po’ d’inglese.« Disse la ragazza presentandosi, non appena mi fu accanto.

»Vada allora per il tedesco.« risposi sorridendo invitandola a sedersi accanto a me.

»La ragazza è da pochi giorni con noi.« Mi spiegò Tom mentre le metteva una coppa di champagne davanti.

»Okay Tom, ho capito, grazie.« Risposi.

»Alla vostra salute, amici miei, alla vostra e a quella dei miei cavalli,« -gridò Sven dall’altra parte del banco- »alla vostra salute e a quelle dei miei poveri cavalli.« Ripeté sconsolato.

D’un fiato svuotò il suo bicchiere e ordinò altre cinque birre e un’altra bottiglia di champagne.

Dalla tasca dei pantaloni Sven si tolse un consistente rotolo di biglietti da mille fiorini, ne contò dieci e, mentre gli occhi delle ragazze vedendo tutti quei soldi si spalancavano a dismisura, li posò sul tavolo davanti a Tom che, ormai non finiva più di meravigliarsi.

»Tieni Tom, metti via, quando questi sono finiti, dimmelo che te ne darò degli altri!«

Tom prese i soldi e li diede a Jana che, divertita ma anche lei un po’ perplessa, stava osservando la scena.

Jana andò al suo tavolo davanti alle scale, da un cassetto prese una busta da lettere e ritornò al banco, dopo aver contato i soldi, li mise dentro la busta scrivendo il nome di Sven.

»Bene, questa va ora in cassaforte e poi vedremo.« Disse apparentemente soddisfatta di come stava andando la nottata.

»Che cosa è successo? Il tuo amico sembra molto triste.« Mi chiese Nicole incuriosita.

»Niente di speciale, stiamo facendo il funerale a tutto uno zoo di animali domestici composto da diversi cavalli e tutta una sfilza di asini, pony, anatre, oche, galline e conigli.

»Tutti kaputt?«

»No Nicole non kaputt, tutti venduti.«

»Non capisco.«

»Un giorno capirai, in fondo queste sono quasi imperdonabili sciocchezze di marinai senza casa né patria né bandiera.«

Risposi ridendo tanto per rassicurarla un poco.

Durante la notte il funerale si era trasformato in una marea di birra e champagne, accompagnata da una miriade di sentimenti e di ricordi da affogare in un mare fatto di alcol e di musica in compagnia di amici e di dee della notte.

Sven, quasi volesse fermare il tempo, cercava disperatamente di cancellare dalla sua mente il giorno appena passato, voleva o sperava di poter ritornare indietro nel tempo e ritrovarsi di nuovo con i suoi animali e la sua famiglia nella vecchia fattoria dove fino all’altro giorno abitava.

Lo avrei capito se voleva fare questo per la sua famiglia, lui invece continuava a parlare solo dei suoi cavalli, come se sua moglie e i suoi bambini non esistessero e proprio con questo suo egoistico atteggiamento non potevo certo essere d’accordo con lui.

Guardavo perplesso il mio amico di tante avventure marine e mi stavo chiedendo se per lui sua moglie non fosse stata altro che una sorta di serva che aveva il compito di badare ai suoi animali e in secondo luogo accudire anche ai suoi bambini.

Comunque fossero i suoi sentimenti verso sua moglie e i loro figli, non potevo certo biasimarli di aver rotto i ponti e rifiutato ogni altro contatto con lui.

Sven non era un autocrate senza scrupoli.

Lo conoscevo troppo bene per considerarlo un tiranno, ma di certo, era un uomo piuttosto eccentrico nel pensare e nel fare.

Sven era spontaneo, cretinamente ingenuo, a volte maldestro, ma mai cattivo. Sapeva di cose di mare, di navi, era sincero e altruista ma, come molti di noi, di vita famigliare non ne capiva un cazzo e ora che da un momento all’altro il “suo” castello era crollato come se fosse stato fatto di carte, si trovava disorientato e senza una sicura rotta da seguire.

Il tutto stava prendendo una piega che non mi piaceva proprio e mi accorgevo che noi tutti stentavamo a stargli dietro.

Noi uomini, che già prima di incontrare Sven avevamo fatto il giro del quartiere e visitato ognuno dei quindici bar greci nell’ambito di duecento metri, sentivamo il peso delle birre passate, non di certo le ragazze.

Le dee dell’Olimpo, invece, sembravano dei cammelli assetati davanti all’ultima oasi prima di un lungo cammino tra le aride dune di sabbia del deserto.

Tom, incitato da Sven, decapitava una bottiglia di Champagne dopo l’altra ed io, pian piano, cominciavo a chiedermi come questa storia sarebbe andata a finire.

Quella notte poi, verso le quattro, anche Kelly fece capolino nel night.

Discreto e silenzioso, inosservato dai miei amici troppo occupati con le loro ragazze per accorgersi di quello che stava succedendo nel locale, si era seduto a un tavolino dietro un gran vaso di fiori.

Da lì osservava tranquillo il suo locale.

Seminascosto dietro il vaso di fiori con segni impercettibili osservava Tom e le ragazze, incitandole a “lavorare” con più assiduità.

Kelly ed io avevamo l’abitudine di parlare in spagnolo e, così, quando mi si avvicinò e mi chiese la ragione di tanta festa, gliela spiegai.

Scuotendo la testa ritorno nel suo angolo e si riposizionò dietro il vaso d fiori senza dire una parola;

d’altronde che avrebbe potuto dire?

Kelly conosceva l’eccentrica quasi dispotica vita familiare di Sven tanto quanto noi tutti, di conseguenza in merito non c’era niente da dire e tanto meno da fare.

Sua moglie aveva ragione e per non impazzire dal lavoro, dalla responsabilità verso i figli e dalla solitudine che la vita di una donna, sposata con un marittimo comporta, aveva fatto un taglio netto e chiesto il divorzio.

Su questa sua decisione non c’era assolutamente niente da eccepire.

La scena che verso le cinque del mattino osservavo divertito, aveva tutta una sua sfumatura di divertente tragicomica: I quasi due metri di altezza di Sven, stavano danzando con il metro e sessanta di Karla.

Le due grandezze più che danzare, si muovevamo pigramente al ritmo di un lento blues e Karla era tutta intenta a sostenere quella mole umana che la stava sommergendo.

Gli altri non erano da meno.

Anche loro davano il meglio cercando di rimanere in piedi, mentre, con le loro rispettive ragazze appollaiate addosso, tentavano di muovere le loro gambe dai piedi di piombo.

Poco dopo, Charly dovette andare a casa perché come ci spiegò, quella mattina doveva incontrare un paio di clienti che volevano ritirare certi passaporti contraffatti e se ne andò salutandoci uno a uno, ringraziandoci per l’inaspettata buona sera.

La sua dea, vistasi sola, si agganciò pure lei a Sven e Karla e da quel momento, il trio si dimostrò meno malfermo e più sicuro sulle gambe.

Charly, poverino lui, quella notte la dovette sognare per un paio d’anni a venire, quella mattina, come mi spiegò Kelly qualche mese dopo; i clienti che lo attendevano per ritirare i passaporti falsi, non erano per nulla dei poveri cristi sudamericani in cerca di un’identità meno scomoda, bensì poliziotti olandesi di origine sudamericana in cerca di falsari e così; la sua carriera di falsario, almeno per il momento, finì in manette.

Nicole se ne stava li tranquilla e ciò mi andava veramente a genio, un paio di volte, tuttavia l’avevo vista passarsi una mano sullo stomaco come se le facesse male.

»Ti fa male lo stomaco?« Chiesi.

»Sì, un poco, lo champagne non fa per me, preferisco la vodka ma il capo dice sempre Niet e così, devo bere sta roba qua.« Rispose passandosi per l’ennesima volta in pochi minuti la mano sullo stomaco.

Nemmeno il mio stomaco era di buonumore e non potevo certo dargli torto, perciò, dalla tasca della mia giacca, presi delle pastiglie, un vero toccasana contro l’acidità di stomaco e una vera e propria “Wunderwaffe” per i desperados della notte e le loro dee, ninfe, muse, circi o troie, che fossero.

Ne presi due per Nicole e due per me.

»Prendi queste due pastiglie.” -la incoraggiai- “ e tra pochi minuti non avrai più problemi con il tuo stomaco.« Le dissi e presi le mie annaffiandole con un sorso di birra.

»Che cosa è?«

»È un nuovo tipo di anti-acido da poco sul mercato, molto efficace e molto costoso. Queste pastiglie sono un vero toccasana per chiunque abbia problemi di stomaco.« Le risposi.

Dopo un attimo di esitazione, guardò Tom che, da dietro il banco ci osservava e annuiva silenzioso.

Solo allora lei le ingoiò, bevendosi dietro un mezzo bicchiere di champagne che Tom fu subito pronto e solerte a riempire di nuovo.

Nicole era veramente timida, durante tutte quelle ore se ne era stata lì seduta tranquilla accanto a me, con diligenza e coraggio. Aveva trangugiato il suo champagne e aveva solo guardato attentamente cosa facevano e come si comportavano le sue colleghe.

Avevo veramente l’impressione che Nicole stesse studiando ogni loro mossa per cercare di carpire ogni loro movimento, ogni singolo batter d’occhio. La ragazza stava semplicemente cercando di imparare i trucci e le finezze del mestiere, più vecchio del Mondo, di questo ero sicuro.

La sua timidezza sarebbe presto svanita e si sarebbe trasformata in una spietata animatrice, avida di soldi e divoratrice di vecchi babbei e uomini facoltosi.

Con il tempo avrebbe forse anche appreso, come già lo avevano imparato Karla e le sue colleghe a diffidare di tutta quella sfilza di porci stempiati e che la toccavano continuamente come se avessero mille braccia e avrebbe sicuramente anche imparato a odiarli.

Alla fine, probabilmente, si sarebbe anche persa per strada o forse no.

Tutto dipendeva da che piega prendeva la sua vita dopo il suo tempo nel Majestic.

»Come ti senti adesso con lo stomaco, ti fa ancora male?« Le chiesi di punto in bianco.

Sorpresa della mia domanda, lei mi guardò con quei suoi stupendi occhi neri, quasi fosse sorpresa di sentirmi parlare e, mentre si passava una mano sullo stomaco, mi sorrise compiaciuta.

»No Franco, il bruciore nello stomaco è finito, queste pastiglie sono veramente molto efficaci, grazie!«

»Allora prendi anche queste.« La incitai dandole la metà di quelle che avevo in tasca.

»Tu sei veramente un buon uomo Franco, vuoi venire un poco di sopra in camera mia?« Mi chiese Nicole mentre mi si avvicinava ancora un poco.

»Franco questa mattina è un vecchio marinaio dalle gambe molto pesanti che tra poco se ne andrà a casa a dormire.« Risposi accarezzandole una mano che così, non Challant aveva messo sulla mia coscia.

»Per favore rimani,« -mi sussurrò Tom che aveva ascoltato la nostra breve conversazione- »se tu te ne vai se ne vanno pure gli altri tuoi amici. Sven questa mattina non lo lasciamo uscire, non in quelle condizioni, figuriamoci poi con tutti quei soldi in tasca. Puoi benissimo dormire qui, da una mancia alla ragazza, se vuoi; ma per favore non andare via.«

Tom aveva ragione, Sven ormai era in orbita ed era intenzionato a buttare al vento tutti i soldi che aveva in tasca e poiché questa era la sua intenzione; non vedevo alcuna ragione perché non dovesse farlo da Kelly.

Verso le sei del mattino, quando il tutto ormai sembrava volgere alla sua ingloriosa fine e i desperados della notte, insieme alle loro dee un po’ sgualcite, ma sicuramente non di certo stanche, sembravano addormentarsi, Kelly, da buon “locandiere”, ebbe un lampo di genio: si alzò e uscì per ritornare una ventina di minuti dopo con un vassoio carico di cosce di pollo e di piccole polpette fritte.

Bastò questo per far risuscitare i Lazzari della notte che, visto tutto quel cibo, come avvoltoi si avventarono sul vassoio e in pochi minuti, lo svuotarono.

Sven ordinò un'altra bottiglia di champagne e altre cinque birre. Kelly uscì di nuovo per andare dal suo connazionale che gestiva un Fast-food aperto ventiquattro ore accanto al suo locale e ritorno subito dopo con un altro vassoio colmo di mangime ed io mi chiesi se eravamo veramente impazziti tutti quanti.

Come sempre, quando la birra non voleva proprio saperne più di andarmi giù, avevo cambiato Drink ed ero passato al Bloody Mary.

Forse erano le spezie che Tom da bravo e provetto barista ci metteva dentro, forse era la vodka o il succo di pomodoro, non saprei veramente dire, sta di fatto che in quei casi, come già avevo avuto occasione di sperimentare negli Stati Uniti, più ne bevevo e meglio mi sentivo.

Sembra veramente che il Bloody Mary ideato negli Stati Uniti insieme a una buona vodka russa, sia un vero e proprio toccasana per desperados stanchi.

Un buon Bloody Mary secondo me è l’unica cooperazione veramente sensata e perfettamente riuscita tra le due Superpotenze.

Kelly ritornò poco dopo e questa volta, anch’io mangiai qualche cosa.

Mi ero preparato un piattino con due cosce di pollo e due polpette.

Come contorno mi ero preso anche un bel cucchiaio di Sambal Oeleck, la piccantissima salsa indonesiana che a volte, in mancanza di peperoncini freschi, usavo a bordo per farmi una veloce pasta all’aglio e olio. Così; rafforzando i presupposti per la mia autodistruzione dopo essermi preso altre due pastiglie contro l’acidità di stomaco, mi sentivo pronto a scardinare il mondo.

Divertito, guardavo Sven che, con le sue mille mani, stava accarezzando e palpeggiando Karla e la sua amica.

Karla e la sua amica dal canto loro, imperterrite, noncuranti delle attenzioni e delle vere e proprie perquisizioni corporee cui Sven le stava sottoponendo, ingoiavano una polpetta alternandola con una coscia di pollo dopo l’altra e annaffiavano il tutto con un bicchiere di champagne.

Alla fine le ragazze si erano bevute un’intera bottiglia di champagne e Tom ne aprì subito un'altra.

Verso le otto del mattino non ne potei più, salutai la combriccola e me ne andai a dormire con Nicole.

Mi svegliai solo nel tardo pomeriggio con un buon odore di caffè nelle narici che Nicole aveva preparato nel cucinino.

Lei era giovane, era bellissima, era nuda e non me ne fregava proprio un bel niente, io ero mezzo sbronzo, avevo mille gatti che mi miagolavano in testa e manco per tutto l’oro del mondo pensavo a far l’amore.

Si era seduta sullo spazioso sofà di pelle di mucca davanti alla finestra e sul tavolino c’erano due tazze di caffè fumanti.

Il piccolo salottino era completato da due comode poltrone, anche quelle in pelle di mucca al naturale. Anche senza trucco e con la faccia un po’ pallida, Nicole era veramente una bella ragazza.

»Buongiorno.« Mi salutò festosa quando vide che mi stavo alzando.

»Giorno Niki, grazie per aver preparato del caffè« Le risposi, cercando di abbozzare un sorriso.

Alzandomi, mi accorsi che ero ancora vestito, che la mia giacca era sul comodino e che avevo un mezzo vulcano che mi stava bruciando lo stomaco, perciò presi le ultime due pastiglie che mi erano rimaste e andai a sedermi su una poltrona di fronte a Nicole.

Trangugiai le pastiglie con un sorso di caffè e guardai la ragazza.

»Hai sentito se i miei amici sono ancora qui?« Le chiesi mentre ammiravo quella Venere in carne e ossa.

Invece di rispondermi, lei socchiuse gli occhi e aprì leggermente le sue gambe che sembravano due colonne di marmo pregiato e mi guardò con uno sguardo di sfida che non ammetteva nessuna clemenza.

Scheiße…, scheiße , scheiße, scheiße, ci mancò poco che mi venisse un colpo.

»Perché non vuoi fare l’amore con me marinaio, non ti piaccio forse?«

»Questo marinaio è vecchio e stanco e poi ho ancora delle cose da fare.«

Le spiegai mentre dal taschino della giacca che mi ero portato appresso prendevo cento fiorini e li mettevo sul tavolino.

»Questi sono per te Nicole e graz¬ie della tua compagnia.« Le dissi sorridendo.¬¬

Proprio in quel momento sentii bussare alla porta.

Istintivamente Nicole ricongiunse le sue gambe.

»Dormiglione svegliati, stiamo andando giù in La Grotte a far colazione,« sentii Rudy dire.

»Ciao Niki, ci vediamo questa sera tardi, ora devo scappare.« le andai vicino la baciai leggermente sulla fronte e prendendo la mia giacca, uscii per raggiungere i miei amici che stavano scendendo le scale.

Bronka, nel vederci, capì subito e, senza indugi ci preparò un bel litro di caffè.

»Sven dorme, cristo ma quello sembra veramente aver perso ogni rotta, non capisce più niente, parla solo di cavalli, mah, speriamo che gli passi e che si riprenda!« -mi informò Willy- »questa sera, però non posso mica uscire e ritornare qua a occuparmi di lui ne, mia moglie mi ammazzerebbe. Per lei io ora sono ad Anversa ad assistere la nave di un nostro cliente.«

»Nemmeno io!« gli fece eco Rudy l’incallito bigamo, “per la mia futura moglie sono in Europort, a bordo di una nave sotto carica.«

»Io son fuori, tra due giorni mi imbarco di nuovo.« Disse Willy

»Lasciamo Sven in pace, qui, a parte il conto finale, è al sicuro, rimarrà un paio di giorni rintanato nel Majestic, poi alla fine si riprenderà e inizierà a lavorare di nuovo. Passerò a dare un’occhiata questa sera, ma solo per salutarlo, non credo che sarei in grado di sopravvivere a un'altra pazzia come la notte passata!«

La festa per noi era veramente giunta al termine, era finita, terminata, le mie ossa e la mia testa mi ricordavano che era giunta l’ora di andare a farmi una lunga doccia calda e di rimettermi a letto.

I tre si fecero chiamare un taxi e quando, pochi minuti dopo, quello arrivò, ci salutammo veloci come sempre.

Un ciao, una sincera stretta di mano e uscirono per andare a casa.

»Chissà quante madonne sentiranno oggi!« Ridacchiò Bronka da dietro il banco.

»Perché poi?« -Le chiesi- »le loro mogli non lo sanno mica dove e come hanno passato la notte, non ti pare?

»Voi uomini a volte siete proprio ingenui e credete veramente che noi donne siamo tutte cretine o ingenue,« -disse Bronka, mentre mi riempiva di nuovo la tazza di caffè- » ora ascolta molto bene marinaio che ti voglio svelare un segreto: Quelli sono stati tutta la notte in un bordello, lussuoso fin che vuoi, ma pur sempre un lurido casino e ora stanno andando a casa dalle loro rispettive mogli con l’odore di un altro letto e di un'altra donna addosso capisci marinaio?

Benedetto mondo, ma voi uomini, credete veramente che le donne siano davvero rimbambite o sceme? Sta più che sicuro che le loro mogli annuseranno un altro profumo e magari troveranno pure altri capelli sulle loro giacche, poi tutto dipende da cosa diranno, se, diranno qualche cosa; ma registreranno il fatto su questo ci puoi giurare. Io non potrei vivere con uomini simili! La mia compagna non mi tradisce manco con il pensiero. Tu sei scapolo, non devi rendere conto a nessuno di quello che fai, se non a te stesso, gli altri invece li biasimo e mi fanno schifo.«

Cazzo, non avevo mai sentito Bronka parlare così determinata e sicura di sé, mi aveva anche svelato che aveva una compagna e non un amico. Dovetti anche sorridere al pensiero dei miei amici che entravano in casa trascinandosi dietro il profumo che le dee della notte gli avevano incollato addosso e alla faccia che le loro signore avrebbero fatto fiutandolo.

Diversi anni dopo un nostro comune amico, mi riferì che Sven non riuscì più a riprendersi dal collasso della sua Famiglia, che sua moglie aveva venduto la fattoria, che si era comprata un appartamento e che aveva ripreso a far la maestra di scuole elementari. Seven dal canto suo, dopo diversi avvisi, a causa del suo eccessivo consumo di alcol fu licenziato dalla posizione d’ispettore navale che occupava presso una società armatrice molto conosciuta e influente e che adesso navigava di nuovo su una vecchia carretta, da qualche parte nei Caraibi.

L’ultima volta che vidi Sven fu quella nottata nel bordello di Kelly mentre con Karla e un'altra ragazza si muoveva piuttosto pesantemente cercando di danzare al ritmo di un blues molto lento.

Subito dopo i miei amici, anch’io levai le tende.

Volevo pagare i caffè ma Bronka non me lo permise.

»Va marinaio. Va a casa, fatti una doccia purificatrice e poi va dormire. Sei stanco, non diventare come quei sporcaccioni là, mi raccomando.« Mi salutò Bronka indicandomi la porta; al che, ridendo veramente di cuore, le lasciai ugualmente dieci fiorini sul banco e mandandole un bacetto, seguii il suo consiglio e me ne andai a dormire.

 

Racconti di mare.

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Cari amici, non scandalizzatevi, e s

 

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