Majestic
ari amici, non
scandalizzatevi, e solo vita vissuta.
Brano tratto
da: La Motonave Condor (Storie di uomini e di navi, Band 1)
(Italienisch) Taschenbuch – 16. März
2017
von Franco Parpaiola (Autor)
•Taschenbuch: 314 Seiten
•Verlag: Independently published
(16. März 2017)
•Amazon Kindel
•Sprache: Italienisch
•ISBN-10: 1520853440
•ISBN-13: 978-1520853444
• Größe und/oder Gewicht: 15,6 x 2 x
23,4 cm
Versione
cartacea ed elettronica
Majestic a
Rotterdam
… La crisi nei trasporti marittimi, il crollo del mercato navale causato da un’insensata corsa a nuove costruzioni navali, senza tener conto delle vere esigenze di mercato, aveva causato un crollo dei noli tanto da renderlo inconveniente e e fatto fallire diverse società armatoriali e agenzie marittime olandesi.
I primi a risentirne furono appunto i locali notturni e i bordelli del quartiere che, tra agenti marittimi, ispettori e provveditori navali, armatori e amministratori vari, si persero così i loro clienti migliori.
Verso le tre del pomeriggio nel bar La Grotte ero ancora l’unico cliente, Bronka la ragazza polacca dietro il banco non parlava né il tedesco né l’inglese e masticava poco l’olandese, rendendo un qualsiasi colloquio quasi nullo.
Bronka diventava loquace e stranamente poliglotta quando aveva bevuto qualche cosa; solo allora capiva il tedesco, l’inglese e l’olandese ma bisognava scioglierle la lingua con una mezza bottiglia di Vodka, cosa che quel giorno non volevo assolutamente fare.
Quel primo pomeriggio tre piccoli marinai filippini apparvero davanti alla porta del bar, volevano entrare ma come videro Bronka dietro il banco, rimasero impalati li come fulminati.
Dalla mole di un metro e novanta per centocinquanta chili e passa che Bronka si portava appresso, di piccoli filippini così se ne avrebbero potuti ricavarne due se non tutti e tre e sicuramente, ne sarebbe pure avanzato qualche cosa.
I tre entrarono ma non si sedettero; rimasero li, davanti alla porta e guardarono guardinghi e sospettosi l’arredamento del locale.
Videro le sue
luci rosse, il banco con i seggioli ricoperti di pelle di mucca bianca e nera;
le pareti ricoperte di laminato di legno pregiato; i piccoli tavolini appartati
in fondo al locale sotto una vetrata di mosaico colorato che raffigurava Bacco
con le corna di caprone e i piedi di porco danzare beato tra le ninfe
dell’Olimpo e decisero che quel locale non faceva per loro e per il loro
portafoglio; si guardarono in faccia quasi sbigottiti; si girarono sui tacchi e
se ne andarono.
I veri clienti del bar entrarono poco dopo.
Anche loro erano in tre e ci conoscevamo pure.
I tre nuovi
arrivati erano Rudy di Lubecca, Willy di Rotterdam e Charly il londinese.
I Tre erano in
giro tra i locali del quartiere, conosciuto a tutte le genti di mare del mondo
sotto il nomignolo: Triangolo delle Bermuda.
Solamente Willy
era un vero marittimo ancora navigante, un Capitano di rimorchiatori d’altura,
un marittimo di vecchia scuola che, come venni a sapere più tardi, aveva perso
il suo lavoro per questioni di abuso d’alcolici a bordo, cosa che naturalmente
e senza mezzi termini condannavo.
Rudy di Lubecca
invece aveva navigato ma non per molto tempo.
Anche lui era
un Comandante nautico, era però anche in fuga dalla Germania con ben due mogli
alle calcagna che lo volevano scuoiare vivo e un tribunale che lo voleva
sbattere in galera per bigamia e altre piccolezze come truffa aggravata ed
emissione di assegni vuoti.
Il piccolo e
taciturno Charly non era niente di tutto questo.
Charly era solo
un ladruncolo e borsaiolo di professione che si era specializzato nella
falsificazione di documenti e basta.
Durante una
lunga pausa di lavoro in un albergo statale in Olanda, Charly aveva appreso
l’arte della tipografia off-set e così, con un piccolo investimento personale e
le sue conoscenze nel giro, era riuscito a procurarsi tutto ciò che gli serviva
per falsificare ogni tipo di documento come passaporti e carte d’identità e
patenti automobilistiche.
Il suo business
andava a gonfie vele e i suoi clienti erano in prevalenza africani e
sudamericani in cerca di una nuova identità.
Specialmente i
documenti italiani erano molto in voga tra gli africani e sudamericani che
parlavano l’italiano.
Rimanemmo
seduti al bar fino verso le diciassette, ridendo e scherzando con Bronka e
ammirando la sua capacità di spillare birra sotto le sue tette senza spanderne
una goccia, finché decidemmo di continuare l’escursione nei bar del vicinato;
pagammo il conto come sempre alla romana e uscimmo salutando Bronka,
promettendole di ritornare.
Girammo per i
locali bevendo una birra qua e là, salutando questo e quello e, senza fermarci
troppo in un locale, girammo in poche ore tutti i bar del vicinato uscendo in
strada solo per infilarci subito nella porta accanto.
Alla fine del
giro verso le nove di sera ci ritrovammo di nuovo difronte al nostro punto di
partenza.
A quell’ora
Bronka non c’era più.
Alla sera Kelly
sfoggiava i suoi angeli della notte, giovani e graziose turiste provenienti
della Lituania o dell’Ucraina
Durante
l’estate, poi, nelle ore serali si potevano incontrare anche turiste italiane
“Au pair,” Ladies della notte che racimolavano un po’ di soldi durante le loro
vacanze, come tra l’altro facevano d’estate le loro colleghe olandesi e
tedesche, lungo le spiagge e le coste italiane.
In quel
periodo, gli angeli della notte di Kelly parlavano in prevalenza il russo e un
poco d’inglese.
I tempi erano
cambiati e pertanto noi non ci meravigliammo proprio nel trovare il locale
vuoto con un solo avventore seduto in fondo al banco che buio in faccia,
guardava la sua tazza di caffè e il suo bicchiere di cognac vuoto accanto.
Le tre ragazze,
quasi avessero paura del cliente che taciturno non le degnava di uno sguardo,
si erano messe tutte e tre, come delle gallinelle impaurite, l’una vicina
all’altra dall’altra parte del locale e lo guardavano circospette.
Il loro viso si
rischiarò quando ci videro entrare e conoscendoci, si rilassarono.
La loro paura
però era infondata, infatti, il silenzioso e taciturno e solitario avventore
non era altro che il mio caro amico e collega Sven che sapevo sposato e felice
padre di due figli adolescenti.
Probabilmente
anche lui era in ferie; quello che mi sorprese e di non poco invece, era il
fatto di vederlo in giro a quell’ora.
Lo conoscevo
come una persona quieta e casalinga, tutta casa e famiglia, che non avrebbe
fatto del male nemmeno a una mosca.
Sven era un
appassionato di animali domestici e nella sua fattoria nella periferia di
Rotterdam aveva tra l’altro diversi cavalli, che letteralmente adorava.
»Non ti
addormentare dentro una tazza di caffe Sven, svegliati, che cosa fai in giro a
quest’ora?«
Gli chiesi
piazzandomi accanto a lui, mentre gli altri si collocavano sui “loro”
seggioloni preferiti un po’ più in là, di fronte ai tre angeli della notte.
Sentendo la mia
voce, Sven sembrò scuotersi dal torpore mentale che lo aveva avvolto: Sollevò
lo sguardo dalla tazza vuota che gli stava davanti e guardò nello specchio
della vetrina dietro il banco.
Vedendomi, la
sua faccia si rischiarò e saltando giù dal suo seggiolone, si alzò con i suoi
due metri di altezza e abbracciandomi festoso, mi chiese da che inferno
sbucassi.
A dire il vero
più che chiedermelo Sven urlò e la sua voce rauca e profonda tuono nel locale
come l’urlo di un bestione preistorico del Neander.
»Vieni subito
qui!« -Ordinò a una delle tre ragazze, dopo aver salutato anche gli altri tre-
»ad ognuna di voi tre, offro un piccolo spumante e dacci anche sei birre.«
La ragazza che
sicuramente aveva capito bene solo “piccolo spumante” si affrettò a prendere
tre piccole bottiglie dal frigo e a darle alla sua amica mentre l’altra
prendeva tre bicchieri, solo allora si ricordò della birra e, quasi temendo di
sentirsi apostrofare un'altra volta da quella voce cavernosa tipica del mio
amico; si accinse a spillarci le piccole birre che come da sempre, eravamo
abituati a bere.
Convinte di
aver rotto il ghiaccio e di potersi accaparrare i nuovi arrivati per altri
Drink, due delle ragazze cercarono subito di avvicinarsi a noi.
Sven le gelò
subito con un perentorio gesto della mano.
»State ferme
dove siete e non disturbate. Devo parlare con i miei amici e questi son
discorsi da uomini!« Ordinò severo e senza indugi.
Le ragazze si
ghiacciarono nei loro movimenti e tranquille e rassegnate si risedettero
dall’altra parte del banco accanto alla loro amica e connazionale e non osarono
più fiatare.
»Mia moglie ha
chiesto il divorzio,« -ci spiegò dopo avere trangugiato d’un fiato la sua
birra, e, senza badare se avevamo bevuto la nostra ordinò un altro
giro- »ciò mi
fa male, ma quello che mi fa ancora più male, è che lei durante la mia assenza
ha venduto tutti i mei animali, anche i miei cavalli e quando sono arrivato a
casa dal mare e mi sono arrabbiato, lei per tutta risposta ha chiamato la
Polizia e mi ha cacciato di casa buttandomi i soldi ricavati della vendita, tra
i piedi.«
Sapevo che Sven
amava gli animali.
Nella sua vita
esistevano solamente i suoi animali, sua moglie e i suoi due figli, una
ragazzina di tredici anni e un ragazzo di dieci, li amava esattamente in
quest’ordine: gli animali, la moglie e i figli e a nessuno di loro faceva
mancare qualche cosa.
Sven era tutto
casa e famiglia.
L’unico
inconveniente familiare era che lui, amava gli animali tanto da parlare con
loro come se fossero dei cristiani.
Il guaio era
che lasciava il compito di accudirli a sua moglie e ai suoi figli.
Secondo lui
questi erano lavori per sua moglie e i suoi figli, »Per imparare a capire gli
animali si doveva prima imparare ad accudirli.« Disse a sua moglie e le assegno
il compito di prendersi cura di tutto il suo Zoo domestico.
»Tutto quello
che ci appartiene, è a suo nome, la casa, la macchina, il terreno, gli animali,
tutto, meno che il nostro conto in banca. Quello è solo a mio nome. Oggi però
le ho lasciato sufficienti soldi per i prossimi sei mesi ma so anche che vuole
vendere tutto per affittarsi un appartamento in città e ricominciare il suo
lavoro d’insegnante di scuole elementari.«
Sven parlava
quasi con distacco ma, da come lo conoscevo, capivo che il nostro amico si
sentiva veramente a pezzi.
»Non avresti
dovuto vendere i miei cavalli!« Tuonò Sven, battendo una manata sul banco del
tavolo, come se sua moglie fosse lì tra di noi.
Dal mucchietto
delle ragazze dall’altra parte del banco partì un piccolo coro di gridolini
impauriti che terminarono, non appena lui ordinò altre tre piccole bottiglie di
spumante e altre cinque birre.
Conoscevo bene
sua moglie e i suoi due bambini.
In passato
quando Sven ed io lavoravamo insieme sui rimorchiatori americani del mare del
Nord, ero stato spesso ospite a casa sua e avendo visto con i miei occhi la
loro situazione, non potevo certo biasimare sua moglie di aver agito come aveva
fatto.
Infatti, nella
fattoria dove vivevano, con il passare del tempo lui si era racimolato un
intero zoo di animali domestici.
Oltre ai sei
cavalli, aveva quattro asini e quattro Shetland ponies, diverse anatre, oche e
galline alle quali doveva accudire solamente sua moglie.
La povera donna
a un certo punto, non doveva avercela fatta più e senza indugi, aveva venduto
tutto il dannato zoo che le stava logorando la vita a un vicino agricoltore e
buttato i soldi tra i piedi del mio povero amico che messo davanti al fatto
compiuto, andò in escandescenze e dovette pure lasciare il tetto coniugale,
sotto scorta della polizia.
Disperato e
solo, Sven aveva fatto l’unica cosa che in un momento del genere poteva fare e
cioè era venuto a Rotterdam a rincuorarsi un poco da Kelly e lì; aveva trovato
alcuni dei suoi amici.
»Questa sera
berremo alla salute dei miei cavalli e di tutti gli altri miei amici che mia
moglie ha venduto.« Sentenziò; ordinando altre tre piccole bottiglie di
spumante e cinque birre.
Sven ormai si
era scatenato e a nulla sarebbero valse esortazioni o ipocriti discorsi di
convenienza.
Vista la piega
che aveva preso la serata, rimanemmo seduti accanto a lui e demmo tempo al
tempo.
Kelly ritornò
verso mezzanotte.
Quando il
locale, come quella sera, era quasi vuoto, se ne andava via.
Quasi scappa
nel vicino Club dei greci a passare la serata giocando a carte con i suoi amici
e ritornava solo verso l’ora di chiusura per riportare i suoi angeli della
notte a casa.
Quella sera noi
eravamo stati gli unici avventori nel locale ma, proprio grazie al dispiacere
di Sven, in cassa a conti fatti c’erano tra le dodici bottigliette di spumante
che le tre ragazze si erano bevute e le trentacinque birre che avevamo bevuto
noi; ben 725 Fiorini.
Noi volevamo
pagare le nostre birre ma Sven si rifiutò e mettendo ottocento Fiorini sul
banco, lasciò il resto come mancia alle tre sorridenti ragazze che, visto
l’andazzo della serata; non provavano e non avevano più paura di quell’omone
che, in pochi minuti, si era visto frantumare tutto il lavoro di una vita.
Una volta in
strada non dovemmo andare lontano.
La porta
accanto portava al secondo piano della stessa casa, dove Kelly aveva uno dei
locali notturni più belli e costosi di tutta Rotterdam.
In quel night
ci avevo messo piede una volta sola e cioè il giorno dell’inaugurazione.
Il locale, più
che un semplice night club, era un costoso bordello con suntuose stanze da
mille e una notte, tutte fornite di una vasca da bagno con la Jacuzzi, la sauna
privata e bar fornito di ogni ben di Dio.
I VIP o le
comitive di “desperados” della notte, potevano anche affittarsi un piccolo
appartamento a più stanze a millecinquecento Fiorini a testa, tutto compreso,
esclusi i Drinks per le assetate ragazze; naturalmente una Bottiglia di Moet et
Chandon al Majestic costava settecentocinquanta fiorini.
I desperados
della notte per noi non erano altro che gli amministratori e agenti marittimi
di alta levatura che spesso e volentieri, passavano intere notti di lavoro in
bordelli simili, spendendo i soldi rubati al fisco o dalla busta paga dei
marittimi asiatici.
»Ora andiamo a
far visita al Majestic, siete invitai a venire su con me a bere qualche cosa in
onore dei miei cavalli.« Disse Sven e deciso, suonò il campanello premendo il
pulsante tre volte.
La pesante
porta di legno dorato si aprì silenziosa e in cinque iniziammo la scalata delle
ripide scale tipiche delle abitazioni olandesi, mentre la porta, come guidata
da una mano fantasma, si richiudeva da sola alle nostre spalle.
Nel Majestic
regnava la pace più assoluta e se non fosse stato per le luci colorate che
danzavano come folletti variopinti su e giù per le colonne luminose e per le
cinque ragazze in un’impeccabile e succinta tunica greca, sedute a uno dei
tavoli, si poteva anche credere di essere entrati in un convento di suore in
clausura.
Fino a poco più
di un anno fa Kelly aveva circa una decina di ragazze nel Majestic, giovani
olandesine in cerca di guadagno facile.
Un giorno però
si vide costretto a cambiare le sue collaboratrici, con ragazze dell’Europa
orientale.
Una sera
successe che un certo signore facoltoso e ben visto agente marittimo e grande
desperado della notte, vide nel locale la sua cara figliola, poco più che
maggiorenne, seduta al banco in compagnia di un signore di mezza età.
La cara
figliola non lavorava per Kelly, lei era li, solo di passaggio e vedendo il
caro paparino entrare, fuggì subito via.
Questo
increscioso esempio di vita famigliare convinse Kelly a cambiare i suoi angeli
della notte olandesi con quelli stranieri.
Il pericolo che
dei consanguinei si potessero di nuovo incontrare all’improvviso nel suo
bordello era per lui e per il suo buon nome di uomo discreto e silenzioso,
veramente troppo grande e controproducente.
»Guarda chi si
vede e c’è pure Franco che si è deciso finalmente di venirci a trovare.« Ci
salutò sorridente Jana, l’imperturbabile cassiera e scrutinatrice di chiunque
volesse entrare.
» Ciao Jana,«
-salutai divertito vedendola così sorpresa di vedermi- »il guaio è che queste
scale sono troppo ripide ed io non ha più vent’anni.« Replicai mentre le
porgevo la mano.
Conoscevo Jana
sin dai primi giorni in cui lavorava come cassiera e amministratrice del
Majestic, spesso c’eravamo incontrati giù al bar e avevamo bevuto qualche birra
insieme.
Conoscevo anche
Tom il barista.
Lo conoscevo da
“La Grotte” dove qualche volta subentrava quando, per una o per l’altra
ragione, Kelly si trovava un pomeriggio senza personale.
Sven non ci
diede tempo per altri convenevoli.
Si sedette
all’inizio del banco e con la sua voce da caverna, ordinò perentoriamente da
bere per tutti.
»Birra per noi
e una bottiglia di Champagne per voi!« Disse a Tom che, da dietro il banco, ci
stava osservando un po’ perplesso e forse non sapeva cosa pensare della nostra
improvvisa apparizione.
»Questa sera,
voi siete tutti miei ospiti,« -tuonò di nuovo nel locale- »mia moglie mi ha
cacciato di casa, ha venduto tutti i miei cavalli e tutto il resto. Ora vuole
vendere anche la casa ed io voglio far baldoria.« Spiegò all’esterrefatto Tom
che, appena ripresosi dalla sorpresa, si affrettò a spillarci le birre e ad
aprire una bottiglia di Mouet et Chandon.
Lo stappo della
bottiglia di champagne non fu altro che il segnale d’attacco per le ragazze
sedute al tavolo.
Karla, la dea
dell’olimpo di origine greca ma tedesca di nascita, si alzò per prima e come
una tigre famelica si avvicino a Sven, appiccicandosi subito a lui come una
sanguisuga; le altre tre andarono dai miei compagni e visto che non mi
conoscevano, io rimasi solo al banco con la mia birra.
Un'altra
ragazza, l’ultima del quintetto era rimasta seduta al tavolo e mi guardava
indecisa su cosa fare.
»Avvicinati
senza timore figliola, vedrai che non mordo« La incoraggiai scherzando in
olandese.
La ragazza si
alzò e mi venne incontro.
Vestita con la
tunica greca bianca e con una cordicella dorata ai fianchi, mi sembrava
veramente di vedere una Dea dell’Olimpo calata su questa terra a rallegrare gli
uomini.
La sua chioma
nera era in perfetto contrasto con il bianco della sua tunica, e i suoi bei
occhi sembravano quelli di una piccola pecorella impaurita di fronte al lupo
mannaro.
»Mi chiamo
Nicole e vengo dalla Lituania, ancora non parlo l’olandese, possiamo parlare in
tedesco? Capisco anche un po’ d’inglese.« Disse la ragazza presentandosi, non
appena mi fu accanto.
»Vada allora
per il tedesco.« risposi sorridendo invitandola a sedersi accanto a me.
»La ragazza è
da pochi giorni con noi.« Mi spiegò Tom mentre le metteva una coppa di
champagne davanti.
»Okay Tom, ho
capito, grazie.« Risposi.
»Alla vostra
salute, amici miei, alla vostra e a quella dei miei cavalli,« -gridò Sven
dall’altra parte del banco- »alla vostra salute e a quelle dei miei poveri
cavalli.« Ripeté sconsolato.
D’un fiato
svuotò il suo bicchiere e ordinò altre cinque birre e un’altra bottiglia di
champagne.
Dalla tasca dei
pantaloni Sven si tolse un consistente rotolo di biglietti da mille fiorini, ne
contò dieci e, mentre gli occhi delle ragazze vedendo tutti quei soldi si
spalancavano a dismisura, li posò sul tavolo davanti a Tom che, ormai non
finiva più di meravigliarsi.
»Tieni Tom,
metti via, quando questi sono finiti, dimmelo che te ne darò degli altri!«
Tom prese i
soldi e li diede a Jana che, divertita ma anche lei un po’ perplessa, stava
osservando la scena.
Jana andò al
suo tavolo davanti alle scale, da un cassetto prese una busta da lettere e
ritornò al banco, dopo aver contato i soldi, li mise dentro la busta scrivendo
il nome di Sven.
»Bene, questa
va ora in cassaforte e poi vedremo.« Disse apparentemente soddisfatta di come
stava andando la nottata.
»Che cosa è
successo? Il tuo amico sembra molto triste.« Mi chiese Nicole incuriosita.
»Niente di speciale,
stiamo facendo il funerale a tutto uno zoo di animali domestici composto da
diversi cavalli e tutta una sfilza di asini, pony, anatre, oche, galline e
conigli.
»Tutti kaputt?«
»No Nicole non
kaputt, tutti venduti.«
»Non capisco.«
»Un giorno
capirai, in fondo queste sono quasi imperdonabili sciocchezze di marinai senza
casa né patria né bandiera.«
Risposi ridendo
tanto per rassicurarla un poco.
Durante la
notte il funerale si era trasformato in una marea di birra e champagne,
accompagnata da una miriade di sentimenti e di ricordi da affogare in un mare
fatto di alcol e di musica in compagnia di amici e di dee della notte.
Sven, quasi
volesse fermare il tempo, cercava disperatamente di cancellare dalla sua mente
il giorno appena passato, voleva o sperava di poter ritornare indietro nel
tempo e ritrovarsi di nuovo con i suoi animali e la sua famiglia nella vecchia
fattoria dove fino all’altro giorno abitava.
Lo avrei capito
se voleva fare questo per la sua famiglia, lui invece continuava a parlare solo
dei suoi cavalli, come se sua moglie e i suoi bambini non esistessero e proprio
con questo suo egoistico atteggiamento non potevo certo essere d’accordo con
lui.
Guardavo
perplesso il mio amico di tante avventure marine e mi stavo chiedendo se per
lui sua moglie non fosse stata altro che una sorta di serva che aveva il
compito di badare ai suoi animali e in secondo luogo accudire anche ai suoi
bambini.
Comunque
fossero i suoi sentimenti verso sua moglie e i loro figli, non potevo certo
biasimarli di aver rotto i ponti e rifiutato ogni altro contatto con lui.
Sven non era un
autocrate senza scrupoli.
Lo conoscevo
troppo bene per considerarlo un tiranno, ma di certo, era un uomo piuttosto
eccentrico nel pensare e nel fare.
Sven era
spontaneo, cretinamente ingenuo, a volte maldestro, ma mai cattivo. Sapeva di
cose di mare, di navi, era sincero e altruista ma, come molti di noi, di vita
famigliare non ne capiva un cazzo e ora che da un momento all’altro il “suo”
castello era crollato come se fosse stato fatto di carte, si trovava
disorientato e senza una sicura rotta da seguire.
Il tutto stava
prendendo una piega che non mi piaceva proprio e mi accorgevo che noi tutti
stentavamo a stargli dietro.
Noi uomini, che
già prima di incontrare Sven avevamo fatto il giro del quartiere e visitato
ognuno dei quindici bar greci nell’ambito di duecento metri, sentivamo il peso
delle birre passate, non di certo le ragazze.
Le dee
dell’Olimpo, invece, sembravano dei cammelli assetati davanti all’ultima oasi
prima di un lungo cammino tra le aride dune di sabbia del deserto.
Tom, incitato
da Sven, decapitava una bottiglia di Champagne dopo l’altra ed io, pian piano,
cominciavo a chiedermi come questa storia sarebbe andata a finire.
Quella notte
poi, verso le quattro, anche Kelly fece capolino nel night.
Discreto e
silenzioso, inosservato dai miei amici troppo occupati con le loro ragazze per
accorgersi di quello che stava succedendo nel locale, si era seduto a un
tavolino dietro un gran vaso di fiori.
Da lì osservava
tranquillo il suo locale.
Seminascosto
dietro il vaso di fiori con segni impercettibili osservava Tom e le ragazze,
incitandole a “lavorare” con più assiduità.
Kelly ed io
avevamo l’abitudine di parlare in spagnolo e, così, quando mi si avvicinò e mi
chiese la ragione di tanta festa, gliela spiegai.
Scuotendo la
testa ritorno nel suo angolo e si riposizionò dietro il vaso d fiori senza dire
una parola;
d’altronde che
avrebbe potuto dire?
Kelly conosceva
l’eccentrica quasi dispotica vita familiare di Sven tanto quanto noi tutti, di
conseguenza in merito non c’era niente da dire e tanto meno da fare.
Sua moglie
aveva ragione e per non impazzire dal lavoro, dalla responsabilità verso i
figli e dalla solitudine che la vita di una donna, sposata con un marittimo
comporta, aveva fatto un taglio netto e chiesto il divorzio.
Su questa sua
decisione non c’era assolutamente niente da eccepire.
La scena che
verso le cinque del mattino osservavo divertito, aveva tutta una sua sfumatura
di divertente tragicomica: I quasi due metri di altezza di Sven, stavano
danzando con il metro e sessanta di Karla.
Le due
grandezze più che danzare, si muovevamo pigramente al ritmo di un lento blues e
Karla era tutta intenta a sostenere quella mole umana che la stava sommergendo.
Gli altri non
erano da meno.
Anche loro
davano il meglio cercando di rimanere in piedi, mentre, con le loro rispettive
ragazze appollaiate addosso, tentavano di muovere le loro gambe dai piedi di
piombo.
Poco dopo,
Charly dovette andare a casa perché come ci spiegò, quella mattina doveva
incontrare un paio di clienti che volevano ritirare certi passaporti
contraffatti e se ne andò salutandoci uno a uno, ringraziandoci per
l’inaspettata buona sera.
La sua dea,
vistasi sola, si agganciò pure lei a Sven e Karla e da quel momento, il trio si
dimostrò meno malfermo e più sicuro sulle gambe.
Charly,
poverino lui, quella notte la dovette sognare per un paio d’anni a venire,
quella mattina, come mi spiegò Kelly qualche mese dopo; i clienti che lo
attendevano per ritirare i passaporti falsi, non erano per nulla dei poveri
cristi sudamericani in cerca di un’identità meno scomoda, bensì poliziotti
olandesi di origine sudamericana in cerca di falsari e così; la sua carriera di
falsario, almeno per il momento, finì in manette.
Nicole se ne
stava li tranquilla e ciò mi andava veramente a genio, un paio di volte,
tuttavia l’avevo vista passarsi una mano sullo stomaco come se le facesse male.
»Ti fa male lo
stomaco?« Chiesi.
»Sì, un poco,
lo champagne non fa per me, preferisco la vodka ma il capo dice sempre Niet e
così, devo bere sta roba qua.« Rispose passandosi per l’ennesima volta in pochi
minuti la mano sullo stomaco.
Nemmeno il mio
stomaco era di buonumore e non potevo certo dargli torto, perciò, dalla tasca
della mia giacca, presi delle pastiglie, un vero toccasana contro l’acidità di
stomaco e una vera e propria “Wunderwaffe” per i desperados della notte e le
loro dee, ninfe, muse, circi o troie, che fossero.
Ne presi due
per Nicole e due per me.
»Prendi queste
due pastiglie.” -la incoraggiai- “ e tra pochi minuti non avrai più problemi
con il tuo stomaco.« Le dissi e presi le mie annaffiandole con un sorso di
birra.
»Che cosa è?«
»È un nuovo
tipo di anti-acido da poco sul mercato, molto efficace e molto costoso. Queste
pastiglie sono un vero toccasana per chiunque abbia problemi di stomaco.« Le
risposi.
Dopo un attimo
di esitazione, guardò Tom che, da dietro il banco ci osservava e annuiva
silenzioso.
Solo allora lei
le ingoiò, bevendosi dietro un mezzo bicchiere di champagne che Tom fu subito
pronto e solerte a riempire di nuovo.
Nicole era
veramente timida, durante tutte quelle ore se ne era stata lì seduta tranquilla
accanto a me, con diligenza e coraggio. Aveva trangugiato il suo champagne e
aveva solo guardato attentamente cosa facevano e come si comportavano le sue
colleghe.
Avevo veramente
l’impressione che Nicole stesse studiando ogni loro mossa per cercare di
carpire ogni loro movimento, ogni singolo batter d’occhio. La ragazza stava
semplicemente cercando di imparare i trucci e le finezze del mestiere, più
vecchio del Mondo, di questo ero sicuro.
La sua
timidezza sarebbe presto svanita e si sarebbe trasformata in una spietata
animatrice, avida di soldi e divoratrice di vecchi babbei e uomini facoltosi.
Con il tempo
avrebbe forse anche appreso, come già lo avevano imparato Karla e le sue
colleghe a diffidare di tutta quella sfilza di porci stempiati e che la
toccavano continuamente come se avessero mille braccia e avrebbe sicuramente
anche imparato a odiarli.
Alla fine,
probabilmente, si sarebbe anche persa per strada o forse no.
Tutto dipendeva
da che piega prendeva la sua vita dopo il suo tempo nel Majestic.
»Come ti senti
adesso con lo stomaco, ti fa ancora male?« Le chiesi di punto in bianco.
Sorpresa della
mia domanda, lei mi guardò con quei suoi stupendi occhi neri, quasi fosse
sorpresa di sentirmi parlare e, mentre si passava una mano sullo stomaco, mi
sorrise compiaciuta.
»No Franco, il
bruciore nello stomaco è finito, queste pastiglie sono veramente molto
efficaci, grazie!«
»Allora prendi
anche queste.« La incitai dandole la metà di quelle che avevo in tasca.
»Tu sei
veramente un buon uomo Franco, vuoi venire un poco di sopra in camera mia?« Mi
chiese Nicole mentre mi si avvicinava ancora un poco.
»Franco questa
mattina è un vecchio marinaio dalle gambe molto pesanti che tra poco se ne
andrà a casa a dormire.« Risposi accarezzandole una mano che così, non Challant
aveva messo sulla mia coscia.
»Per favore
rimani,« -mi sussurrò Tom che aveva ascoltato la nostra breve conversazione-
»se tu te ne vai se ne vanno pure gli altri tuoi amici. Sven questa mattina non
lo lasciamo uscire, non in quelle condizioni, figuriamoci poi con tutti quei
soldi in tasca. Puoi benissimo dormire qui, da una mancia alla ragazza, se
vuoi; ma per favore non andare via.«
Tom aveva
ragione, Sven ormai era in orbita ed era intenzionato a buttare al vento tutti
i soldi che aveva in tasca e poiché questa era la sua intenzione; non vedevo
alcuna ragione perché non dovesse farlo da Kelly.
Verso le sei del
mattino, quando il tutto ormai sembrava volgere alla sua ingloriosa fine e i
desperados della notte, insieme alle loro dee un po’ sgualcite, ma sicuramente
non di certo stanche, sembravano addormentarsi, Kelly, da buon “locandiere”,
ebbe un lampo di genio: si alzò e uscì per ritornare una ventina di minuti dopo
con un vassoio carico di cosce di pollo e di piccole polpette fritte.
Bastò questo
per far risuscitare i Lazzari della notte che, visto tutto quel cibo, come
avvoltoi si avventarono sul vassoio e in pochi minuti, lo svuotarono.
Sven ordinò
un'altra bottiglia di champagne e altre cinque birre. Kelly uscì di nuovo per
andare dal suo connazionale che gestiva un Fast-food aperto ventiquattro ore
accanto al suo locale e ritorno subito dopo con un altro vassoio colmo di
mangime ed io mi chiesi se eravamo veramente impazziti tutti quanti.
Come sempre,
quando la birra non voleva proprio saperne più di andarmi giù, avevo cambiato
Drink ed ero passato al Bloody Mary.
Forse erano le
spezie che Tom da bravo e provetto barista ci metteva dentro, forse era la
vodka o il succo di pomodoro, non saprei veramente dire, sta di fatto che in
quei casi, come già avevo avuto occasione di sperimentare negli Stati Uniti,
più ne bevevo e meglio mi sentivo.
Sembra
veramente che il Bloody Mary ideato negli Stati Uniti insieme a una buona vodka
russa, sia un vero e proprio toccasana per desperados stanchi.
Un buon Bloody
Mary secondo me è l’unica cooperazione veramente sensata e perfettamente
riuscita tra le due Superpotenze.
Kelly ritornò
poco dopo e questa volta, anch’io mangiai qualche cosa.
Mi ero
preparato un piattino con due cosce di pollo e due polpette.
Come contorno
mi ero preso anche un bel cucchiaio di Sambal Oeleck, la piccantissima salsa
indonesiana che a volte, in mancanza di peperoncini freschi, usavo a bordo per
farmi una veloce pasta all’aglio e olio. Così; rafforzando i presupposti per la
mia autodistruzione dopo essermi preso altre due pastiglie contro l’acidità di
stomaco, mi sentivo pronto a scardinare il mondo.
Divertito,
guardavo Sven che, con le sue mille mani, stava accarezzando e palpeggiando
Karla e la sua amica.
Karla e la sua
amica dal canto loro, imperterrite, noncuranti delle attenzioni e delle vere e
proprie perquisizioni corporee cui Sven le stava sottoponendo, ingoiavano una
polpetta alternandola con una coscia di pollo dopo l’altra e annaffiavano il
tutto con un bicchiere di champagne.
Alla fine le
ragazze si erano bevute un’intera bottiglia di champagne e Tom ne aprì subito
un'altra.
Verso le otto
del mattino non ne potei più, salutai la combriccola e me ne andai a dormire
con Nicole.
Mi svegliai
solo nel tardo pomeriggio con un buon odore di caffè nelle narici che Nicole
aveva preparato nel cucinino.
Lei era
giovane, era bellissima, era nuda e non me ne fregava proprio un bel niente, io
ero mezzo sbronzo, avevo mille gatti che mi miagolavano in testa e manco per
tutto l’oro del mondo pensavo a far l’amore.
Si era seduta
sullo spazioso sofà di pelle di mucca davanti alla finestra e sul tavolino
c’erano due tazze di caffè fumanti.
Il piccolo
salottino era completato da due comode poltrone, anche quelle in pelle di mucca
al naturale. Anche senza trucco e con la faccia un po’ pallida, Nicole era
veramente una bella ragazza.
»Buongiorno.«
Mi salutò festosa quando vide che mi stavo alzando.
»Giorno Niki,
grazie per aver preparato del caffè« Le risposi, cercando di abbozzare un
sorriso.
Alzandomi, mi
accorsi che ero ancora vestito, che la mia giacca era sul comodino e che avevo
un mezzo vulcano che mi stava bruciando lo stomaco, perciò presi le ultime due
pastiglie che mi erano rimaste e andai a sedermi su una poltrona di fronte a
Nicole.
Trangugiai le
pastiglie con un sorso di caffè e guardai la ragazza.
»Hai sentito se
i miei amici sono ancora qui?« Le chiesi mentre ammiravo quella Venere in carne
e ossa.
Invece di
rispondermi, lei socchiuse gli occhi e aprì leggermente le sue gambe che sembravano
due colonne di marmo pregiato e mi guardò con uno sguardo di sfida che non
ammetteva nessuna clemenza.
Scheiße…,
scheiße , scheiße, scheiße, ci mancò poco che mi venisse un colpo.
»Perché non
vuoi fare l’amore con me marinaio, non ti piaccio forse?«
»Questo
marinaio è vecchio e stanco e poi ho ancora delle cose da fare.«
Le spiegai
mentre dal taschino della giacca che mi ero portato appresso prendevo cento
fiorini e li mettevo sul tavolino.
»Questi sono
per te Nicole e graz¬ie della tua compagnia.« Le dissi sorridendo.¬¬
Proprio in quel
momento sentii bussare alla porta.
Istintivamente
Nicole ricongiunse le sue gambe.
»Dormiglione
svegliati, stiamo andando giù in La Grotte a far colazione,« sentii Rudy dire.
»Ciao Niki, ci
vediamo questa sera tardi, ora devo scappare.« le andai vicino la baciai
leggermente sulla fronte e prendendo la mia giacca, uscii per raggiungere i
miei amici che stavano scendendo le scale.
Bronka, nel
vederci, capì subito e, senza indugi ci preparò un bel litro di caffè.
»Sven dorme,
cristo ma quello sembra veramente aver perso ogni rotta, non capisce più
niente, parla solo di cavalli, mah, speriamo che gli passi e che si riprenda!«
-mi informò Willy- »questa sera, però non posso mica uscire e ritornare qua a
occuparmi di lui ne, mia moglie mi ammazzerebbe. Per lei io ora sono ad Anversa
ad assistere la nave di un nostro cliente.«
»Nemmeno io!«
gli fece eco Rudy l’incallito bigamo, “per la mia futura moglie sono in
Europort, a bordo di una nave sotto carica.«
»Io son fuori,
tra due giorni mi imbarco di nuovo.« Disse Willy
»Lasciamo Sven
in pace, qui, a parte il conto finale, è al sicuro, rimarrà un paio di giorni
rintanato nel Majestic, poi alla fine si riprenderà e inizierà a lavorare di
nuovo. Passerò a dare un’occhiata questa sera, ma solo per salutarlo, non credo
che sarei in grado di sopravvivere a un'altra pazzia come la notte passata!«
La festa per
noi era veramente giunta al termine, era finita, terminata, le mie ossa e la
mia testa mi ricordavano che era giunta l’ora di andare a farmi una lunga
doccia calda e di rimettermi a letto.
I tre si fecero
chiamare un taxi e quando, pochi minuti dopo, quello arrivò, ci salutammo
veloci come sempre.
Un ciao, una
sincera stretta di mano e uscirono per andare a casa.
»Chissà quante
madonne sentiranno oggi!« Ridacchiò Bronka da dietro il banco.
»Perché poi?«
-Le chiesi- »le loro mogli non lo sanno mica dove e come hanno passato la
notte, non ti pare?
»Voi uomini a
volte siete proprio ingenui e credete veramente che noi donne siamo tutte
cretine o ingenue,« -disse Bronka, mentre mi riempiva di nuovo la tazza di
caffè- » ora ascolta molto bene marinaio che ti voglio svelare un segreto:
Quelli sono stati tutta la notte in un bordello, lussuoso fin che vuoi, ma pur
sempre un lurido casino e ora stanno andando a casa dalle loro rispettive mogli
con l’odore di un altro letto e di un'altra donna addosso capisci marinaio?
Benedetto
mondo, ma voi uomini, credete veramente che le donne siano davvero rimbambite o
sceme? Sta più che sicuro che le loro mogli annuseranno un altro profumo e
magari troveranno pure altri capelli sulle loro giacche, poi tutto dipende da
cosa diranno, se, diranno qualche cosa; ma registreranno il fatto su questo ci
puoi giurare. Io non potrei vivere con uomini simili! La mia compagna non mi
tradisce manco con il pensiero. Tu sei scapolo, non devi rendere conto a
nessuno di quello che fai, se non a te stesso, gli altri invece li biasimo e mi
fanno schifo.«
Cazzo, non
avevo mai sentito Bronka parlare così determinata e sicura di sé, mi aveva
anche svelato che aveva una compagna e non un amico. Dovetti anche sorridere al
pensiero dei miei amici che entravano in casa trascinandosi dietro il profumo
che le dee della notte gli avevano incollato addosso e alla faccia che le loro
signore avrebbero fatto fiutandolo.
Diversi anni
dopo un nostro comune amico, mi riferì che Sven non riuscì più a riprendersi
dal collasso della sua Famiglia, che sua moglie aveva venduto la fattoria, che
si era comprata un appartamento e che aveva ripreso a far la maestra di scuole
elementari. Seven dal canto suo, dopo diversi avvisi, a causa del suo eccessivo
consumo di alcol fu licenziato dalla posizione d’ispettore navale che occupava
presso una società armatrice molto conosciuta e influente e che adesso navigava
di nuovo su una vecchia carretta, da qualche parte nei Caraibi.
L’ultima volta
che vidi Sven fu quella nottata nel bordello di Kelly mentre con Karla e
un'altra ragazza si muoveva piuttosto pesantemente cercando di danzare al ritmo
di un blues molto lento.
Subito dopo i
miei amici, anch’io levai le tende.
Volevo pagare i
caffè ma Bronka non me lo permise.
»Va marinaio.
Va a casa, fatti una doccia purificatrice e poi va dormire. Sei stanco, non
diventare come quei sporcaccioni là, mi raccomando.« Mi salutò Bronka
indicandomi la porta; al che, ridendo veramente di cuore, le lasciai ugualmente
dieci fiorini sul banco e mandandole un bacetto, seguii il suo consiglio e me
ne andai a dormire.
2hooe1f.tS lMiärpoconz eg2sno0ourhe1ug8d ·
Cari amici, non scandalizzatevi, e s
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