Brano tratto dal mio manoscritto " La Motonave Amrum"
non ancora pubblicato.
Monika.
… se non fosse stato quell’acuto
senso di sopravvivenza che distingue la gente di mare dai comuni mortali, per
poco avrei messo su casa Bremen.
L’agognata del momento che era
riuscita ad accendere in me, un piccolo bagliore di vita casalinga, tutta
lavoro e famiglia lontano da mari navi e oceani, era la cameriera in una
birreria nel centro città.
In effetti si trattava di un
tradizionale American Bar più che una semplice birreria.
Un locale di lavoro e ritrovo per
agenti marittimi, impiegati bancar, faccendieri e giocolieri della altrui
palanche vari.
Così ad occhio e croce lei doveva
essere sulla quarantina, forse sul groppone aveva qualche annetto di più,
sicuramente non di meno; ragion del vero forse un po’ troppo vecchiotta, ma
nonostante i suoi anni, molto ben tenuta, anche se leggiadramente tracagnotta e tozza di statura.
Portava i capelli corti, forse
troppo corti, infatti la sua capigliatura le dava un certo estro più mascolino
che femminile che rendeva la sua testa sul suo corpulento corpo, ancora più
piccola di quello che era.
Il suo modo di vestire poi era
decisamente fuori posto e luogo, infatti la sua mania di indossare i vestiti
che sembravano quelli di sua nonna mi riportava alla mente una Mary Poppins
piuttosto malmessa e malandata.
Il suo stile di vestirsi era
veramente indescrivibile e quando sul tutto ci metteva pure un mezzo lenzuolo
palestinese a quadretti bianchi e blu, che rimpiccioliva ancora di più la sua
testa dal taglio di capelli mascolino sul suo massiccio corpo, beh allora mi
sembrava di vedere una scappata da casa per andare a qualche festicciola di
Halloween.
Nonostante tutto ciò, la giuliva ragazzotta
mi piaceva, convinto com’ero che sarei riuscito a farle cambiare il modo di
vestirsi, facendola apparire più umana, lì al banco del Bar, mentre lei serviva
altri clienti o scambiava qualche parola con me, decisi di provare a
stilizzarmela a piacere.
Già diverse volte mi ero
cimentato nell’ardua impresa di far della mia adorata qualche cosa di più
umanamente accettabile, impresa che proprio a causa della sua mania di
camuffarsi da spaventapasseri vagante, non era certo di facile fattura.
A giorni alternati e dopo lunghe
sedute al banco del Coton Bar nel bel centro di Bremen, ero finalmente riuscito a vestirla e addobbarla in modo
decente e civile.
A forza di birra ero riuscito a
crearle una capigliatura adatta alla sua piccola testa sul mastodontico torso, per
lei mi ero ideato una lunga chioma nera che nascondeva in parte la sua testina,
facendola apparire più grande e consistente.
Il mezzo lenzuolo palestinese a
quadretti bianchi e blu lo avevo gettato nel bidone della spazzatura e i suoi
vestiti della nonna, scuri e fuori moda, regalati all’esercito della salvezza.
Avevo anche raschiato lo stucco
dalla sua rubiconda faccia e le avevo dato appena un soffio di cipria rossa,
perché pur quanto sicuramente sanissima, da sotto lo stucco che le avevo
raschiato via era emerso un viso piuttosto pallido, infine l’avevo poi pigiata
in un decente Tailleur azzurro scuro.
Così, o più o meno così, dopo innumerevoli
sedute e mezze sbronze, ero quasi riuscito a stilizzare la mia bramata del
momento.
Certo non era proprio chissà che
cosa, ma alla fine dei conti però, nemmeno io ero qualche cosa di speciale.
Ero marittimo, straniero,
incallito bevitore sociale non alcolizzato, pigro con le donne ma attivo al
banco della birra, avevo una pancetta in continua espansione, ero mezzo calvo e
la mia dentiera era malferma, pertanto non ero di certo un Principe azzurro in
cerca della sua Fata Turchina.
Ero tutto quello che si vuole,
tutto fuorché un Principe azzurro, quello proprio no.
Come detto, ci ero quasi
riuscito, non fosse stato per il suo stramaledetto culo.
Perdinci, il cielo mi sia
testimonio se non provai a stilizzare quella sua protuberanza simile a quella di un Ippopotamo, che le
pendeva didietro
Dannazione ci provai per intere
giornate ma non c’era nulla da fare e l’unico tangibile risultato di tanta mia
volontà stilistica era che mi trovavo ogni giorno mezzo sbronzo e il suo
ostinato culo rimaneva sempre uguale.
Determinato a rifilarle un culo
più accettabile decisi di rafforzare le mie idee stilite e così con ogni birra
mi presi pure una doppia acquavite di ginepro.
Belin, da quel momento per me
iniziarono i veri guai e tutto cominciò ad andare a rotoli: dopo giorni di estenuanti prove cominciai ad avere crampi allo stomaco, le mie mani
cominciarono a tremate und il suo dannato culo mi sembro ancora più mostruoso di prima.
Quasi demoralizzato ma ancora con
l’intraprendenza della gente di mare, senza mezzi termini cambiai cura
ricostituente da birra e ginepro a birra e vodka, presto mi accorsi però che il
suo culo era diventato ancora più orrendo di prima.
Provai allora con birra e brandy
dovetti però desistere quando lo stomaco mi avvertì che se continuavo ad
insistere di voler stilizzare un culo impossibile, mi sarebbe scoppiato tra le
orecchie.
Quel giorno mi accorsi che ero
arrivato al Capolinea e pertanto gettai la spugna; a salvare il salvabile però quel
pomeriggio nel locale entrò un mio amico del quale sapevo che era un barista
specialista di Cocktail su grandi navi passeggere e lo pregai di insegare a
quella disgraziata dal culo impossibile come si prepara un buon Bloody Mary.
I Bloody Mary che trangugiai quel
giorno ebbero un vero effetto corroborante da toccasana, infatti mi accorsi che
più ne bevevo e più mi si schiariva la testa, era proprio vero; più ne mandavo
giù e più mi tiravano su.
Bevvi sufficienti Bloody Mary
fino a sentirmi del tutto sobrio tanto da scardinare il mondo, cosa che a dire
il vero non fu impresa facile, pagai di nuovo un conto piuttosto salato e ben
pepato e avendone abbastanza di culi mostruosi che non si lasciano stilizzare
uscii dal locale per non ritornarci mai più.
Andai diritto alla Casa del
Marinaio, dove in attesa della mia nave mi ero affittato una camera e dormii
per 24 ore di fila, prima di addormentarmi
però chiesi ai folletti verdi dai mostruosi culi che vociando e gesticolando si
rincorrevano nella mia camera di starsene zitti e andare a far casino da
qualche altra parte.
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