lunedì 15 febbraio 2021

MONIKA

 

Brano tratto dal mio manoscritto " La Motonave Amrum" 

non ancora pubblicato.

Monika.

… se non fosse stato quell’acuto senso di sopravvivenza che distingue la gente di mare dai comuni mortali, per poco avrei messo su casa Bremen.

L’agognata del momento che era riuscita ad accendere in me, un piccolo bagliore di vita casalinga, tutta lavoro e famiglia lontano da mari navi e oceani, era la cameriera in una birreria nel centro città.

In effetti si trattava di un tradizionale American Bar più che una semplice birreria.

Un locale di lavoro e ritrovo per agenti marittimi, impiegati bancar, faccendieri e giocolieri della altrui palanche vari.

Così ad occhio e croce lei doveva essere sulla quarantina, forse sul groppone aveva qualche annetto di più, sicuramente non di meno; ragion del vero forse un po’ troppo vecchiotta, ma nonostante i suoi anni, molto ben tenuta, anche se  leggiadramente tracagnotta e tozza di statura.

Portava i capelli corti, forse troppo corti, infatti la sua capigliatura le dava un certo estro più mascolino che femminile che rendeva la sua testa sul suo corpulento corpo, ancora più piccola di quello che era.

Il suo modo di vestire poi era decisamente fuori posto e luogo, infatti la sua mania di indossare i vestiti che sembravano quelli di sua nonna mi riportava alla mente una Mary Poppins piuttosto malmessa e malandata.

Il suo stile di vestirsi era veramente indescrivibile e quando sul tutto ci metteva pure un mezzo lenzuolo palestinese a quadretti bianchi e blu, che rimpiccioliva ancora di più la sua testa dal taglio di capelli mascolino sul suo massiccio corpo, beh allora mi sembrava di vedere una scappata da casa per andare a qualche festicciola di Halloween.

Nonostante tutto ciò, la giuliva ragazzotta mi piaceva, convinto com’ero che sarei riuscito a farle cambiare il modo di vestirsi, facendola apparire più umana, lì al banco del Bar, mentre lei serviva altri clienti o scambiava qualche parola con me, decisi di provare a stilizzarmela a piacere.

Già diverse volte mi ero cimentato nell’ardua impresa di far della mia adorata qualche cosa di più umanamente accettabile, impresa che proprio a causa della sua mania di camuffarsi da spaventapasseri vagante, non era certo di facile fattura.

A giorni alternati e dopo lunghe sedute al banco del Coton Bar nel bel centro di Bremen, ero finalmente riuscito a vestirla e addobbarla in modo decente e civile.

A forza di birra ero riuscito a crearle una capigliatura adatta alla sua piccola testa sul mastodontico torso, per lei mi ero ideato una lunga chioma nera che nascondeva in parte la sua testina, facendola apparire più grande e consistente.

Il mezzo lenzuolo palestinese a quadretti bianchi e blu lo avevo gettato nel bidone della spazzatura e i suoi vestiti della nonna, scuri e fuori moda, regalati all’esercito della salvezza.

Avevo anche raschiato lo stucco dalla sua rubiconda faccia e le avevo dato appena un soffio di cipria rossa, perché pur quanto sicuramente sanissima, da sotto lo stucco che le avevo raschiato via era emerso un viso piuttosto pallido, infine l’avevo poi pigiata in un decente Tailleur azzurro scuro.

 Così, o più o meno così, dopo innumerevoli sedute e mezze sbronze, ero quasi riuscito a stilizzare la mia bramata del momento.

Certo non era proprio chissà che cosa, ma alla fine dei conti però, nemmeno io ero qualche cosa di speciale.

Ero marittimo, straniero, incallito bevitore sociale non alcolizzato, pigro con le donne ma attivo al banco della birra, avevo una pancetta in continua espansione, ero mezzo calvo e la mia dentiera era malferma, pertanto non ero di certo un Principe azzurro in cerca della sua Fata Turchina.

Ero tutto quello che si vuole, tutto fuorché un Principe azzurro, quello proprio no.

Come detto, ci ero quasi riuscito, non fosse stato per il suo stramaledetto culo.

Perdinci, il cielo mi sia testimonio se non provai a stilizzare quella sua protuberanza  simile a quella di un Ippopotamo, che le pendeva didietro

Dannazione ci provai per intere giornate ma non c’era nulla da fare e l’unico tangibile risultato di tanta mia volontà stilistica era che mi trovavo ogni giorno mezzo sbronzo e il suo ostinato culo rimaneva sempre uguale.

Determinato a rifilarle un culo più accettabile decisi di rafforzare le mie idee stilite e così con ogni birra mi presi pure una doppia acquavite di ginepro.

Belin, da quel momento per me iniziarono i veri guai e tutto cominciò ad andare a rotoli: dopo giorni di estenuanti prove cominciai ad avere crampi allo stomaco, le mie mani cominciarono a tremate und il suo dannato culo mi sembro ancora più mostruoso di prima.

Quasi demoralizzato ma ancora con l’intraprendenza della gente di mare, senza mezzi termini cambiai cura ricostituente da birra e ginepro a birra e vodka, presto mi accorsi però che il suo culo era diventato ancora più orrendo di prima.

Provai allora con birra e brandy dovetti però desistere quando lo stomaco mi avvertì che se continuavo ad insistere di voler stilizzare un culo impossibile, mi sarebbe scoppiato tra le orecchie.

Quel giorno mi accorsi che ero arrivato al Capolinea e pertanto gettai la spugna; a salvare il salvabile però quel pomeriggio nel locale entrò un mio amico del quale sapevo che era un barista specialista di Cocktail su grandi navi passeggere e lo pregai di insegare a quella disgraziata dal culo impossibile come si prepara un buon Bloody Mary.

I Bloody Mary che trangugiai quel giorno ebbero un vero effetto corroborante da toccasana, infatti mi accorsi che più ne bevevo e più mi si schiariva la testa, era proprio vero; più ne mandavo giù e più mi tiravano su.

Bevvi sufficienti Bloody Mary fino a sentirmi del tutto sobrio tanto da scardinare il mondo, cosa che a dire il vero non fu impresa facile, pagai di nuovo un conto piuttosto salato e ben pepato e avendone abbastanza di culi mostruosi che non si lasciano stilizzare uscii dal locale per non ritornarci mai più.

Andai diritto alla Casa del Marinaio, dove in attesa della mia nave mi ero affittato una camera e dormii per 24 ore di fila, prima  di addormentarmi però chiesi ai folletti verdi dai mostruosi culi che vociando e gesticolando si rincorrevano nella mia camera di starsene zitti e andare a far casino da qualche altra parte.© franco parpaiola

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