Da : Il caso della Motonave El Castillo.
Dovesse nell’Inferno dantesco esserci una nicchia con un Bar, quella dovrebbe senz’altro essere così come si presentava l’Hollywood verso Mezzanotte a Sousa nella punta Nordoccidentale dell’isola di Creta.
Il Locale era stracolmo di Marines inglesi che vocianti, quasi in delirio, cercavano di danzare sull’assordante brano di Zorba, che si ripeteva in continuazione, o seduti ai tavoli, bevevano come se stesse per finire il Mondo. Noi, quelli della Motonave El Castillo; aspiranti contrabbandieri d’Armi e impavidi rompi blocco navale e magari anche possibili manovali di quello che mi sembrava un nascente terrorismo islamita, stavano seduti al Bar e noncuranti di tutto quel trambusto, bevevamo la nostra Birra.
Tania la sua collega e la loro Mamasan quella sera avevano un bel daffare a preparare tutte le richieste di Birra e a servirle ai tavoli.
C’è la mettevano veramente tutta, per loro una pioggia di Dracme simile non arriva mica tutti i giorni e ogni birra non servita, era guadagno perduto.
Due Marines dei po’ anzianotti, quella sera ci avevano preso di mira con le loro macchine fotografiche e cominciarono a fotografarci.
Ci fotografarono in tutte le angolazioni possibili, ripresero i due Ispettori venuti da Rotterdam con l’Armatore, inquadrarono Henk e Egon, me e il mio amico Berny e Cesar la nostra checca indonesiana che quasi in trance si guardava tutti qui ragazzotti inglesi dalle solide chiappe.
Verso le tre di notte improvvisamente il locale si svuotò e i Marines vociando e barcollando, si avviarono verso il porto per imbarcarsi sui pescherecci del villaggio che li avrebbero portati a bordo delle loro rispettive navi alla fonda all’inizio della baia.
»Devono essere a Bordo per le quattro del mattino,« -mi sussurro Tania passandomi vicino- »ora daremo una riassettata al locale e poi mi siedo accanto a te.« Mi disse ancora prima di iniziare a rimettere in ordine i tavoli e il locale.
Solo allora mi accorsi che l’Armatore assieme a Berny e Cesar, erano già andati via e che al banco eravamo rimasi solo Henk ed io assieme ai due Ispettori.
Mentre uno degli Ispettori pagando il conto per tutti e dando anche una lauta mancia alla Mamasan ordinava un taxi, l’altro dava un paio di migliaia di Dracme a Henk perché continuassimo a festeggiare.
I due sarebbero rientrati ad Amsterdam l’indomani mattina mentre io avrei preso l’aereo per recarmi a Rotterdam il lunedì seguente per organizzare tutta una serie di pezzi di ricambio e nuovi gruppi elettrogeni che mi servivano per riparare la nave.
Li avevo avvertiti
che la nave non era adatta a quel tipo di lavoro e spiegato che avevano
acquistato la nave sbagliata.
»Non noi Chief, lui, è stato l’Armatore a farci spendere tutti quei soldi, il tutto è a suo nome, solo i soldi sono dei nostri clienti, e quelli non scherzano vogliono vedere risultai,« -mi rispose uno dei due con voce tagliente- »se non le sarà possibile riparare la nave, questo Chief non sarà certo colpa sua, faccia comunque l’umanamente possibile e un tantino di più; domani sera poi, da Amsterdam telefonerò al nostro amico Kellly in La Grotte e lo saluterò per lei. Mi disse prima di andarsene.
Se ne andarono salutando, non appena arrivò il Taxi e chiedendomi un’altra volta di fare tutto il possibile per mettere la nave in condizioni di prendere il mare, si dileguarono nella notte, proprio quando Tania un po’ sudata veniva a sedersi accanto a me.
»Perché non sei venuto a trovarmi come mi avevi promesso, Franco, non ti piaccio forse?« Mi chiese un poco incavolata dandomi un colpetto di gomito nelle costole.
»Cerca di capire Tania, ho molto fare, non potevo venire.«
»Njet Rabboti, strarij Medwed, a bordo sei senza pezzi di ricambio, me lo ha detto Alexandra già una Settimana fa, perché non sei venuto?« Mi chiese di nuovo un po’ rammaricata.
Tania si era girata verso di me e mi guardava con quei suoi occhi che sembravano due gemme preziose.
Lei, con quel suo vestitino nero pericolosamente succinto.
Lei, con quel Decolté da capogiro che a malapena conteneva i suoi seni.
Lei, con le sue belle lunghe gambe nude che sembravano scolpite nel marmo.
Lei, con la sua giovinezza.
…Tania si era appoggiata con un braccio al banco e mi guardava intensamente, avevo la netta impressione che più che guardarmi lei mi stesse scrutando, sembrava veramente che volesse rovistarmi nella mente e cercasse di dirmi qualche cosa che non riuscivo ad afferrare, sperando che lo capissi.
Stavamo lì, seduti e taciturni, guardandoci, scrutandoci a vicenda cercavamo di capire cosa volevamo dirci senza parlare e mentre una cascata di luci e di sfumature colorate l’avvolgeva facendola sembrare quasi irreale, mi sentii, come se lei mi avesse ipnotizzato e reso incapace di pensare, di intendere, di volere.
»Rimani con me questa notte, non mi lasciare sola.« La sentii sussurrare sommessamente; poi; agile e graziosa come una gazzella scese dal suo seggiolone e con passi decisi andò dietro il Banco.
Dal Frigo prese una
bottiglia di spumante e due bicchieri e passandomi vicino, appena sfiorandomi
si incammino verso la porta che portava al suo appartamento.
Rimase per un momento ferma immobile nel bel mezzo del locale sotto la grande palla di vetro colorato che girava lentamente emettendo le più svariate luci e si volto verso me.
Davanti ai miei occhi prese forma un quadro quasi surreale e così, mentre Tania ferma come una statua di Michelangelo viva e verace sotto quella pioggia di luci e palline e stelle colorate che come folletti, delicatamente; con dolcezza e passione; cambiando colore dal rosso al giallo, dal verde al blu al turchino, danzavano e si rallegravano con la loro Fata Turchia, il mio cervello si svuotò e mi accorsi di non avere più alcuna volontà, e quando la sentii pronunciare il mio nome, quasi trasportato da quei piccoli folletti colorati mi immedesimai in loro e la raggiunsi.
»Dawai Staraij Medwed, andiamo a via da qui.« Mi sussurro non appena le fui acconto.
Dopo un lungo bagno, ci bevemmo un po’ dello spumante Fürst Metternich, a letto poi, rapito, con la sua testa appoggiato sul mio petto la ascoltavo raccontarmi di lei.
Mi parlò di sé, di casa sua in Russia, di come era stata ingannata e attirata a Creta sotto falsi pretesti, del suo lavoro nell’Hollywood Bar della sua volontà di riprendere gli studi di medicina, di sposare il suo amico doganiere negli Aeroporti, delle sue speranze di un futuro tranquillo e senza stenti, di avere un giorno una famiglia sana e crescere i suoi figli.
La ascoltavo in silenzio senza interromperla; il suono della sua voce, il ritmico battito del suo cuore, la pace di starmene lì tra le sue braccia, di percepire il suo calore e respirare il suo profumo, tutto questo era come balsamo per la mia anima e per il mio essere.
Dopo tutte le Settimane passate a bordo dell’El Castillo in compagnia di ratti lustri e ben pasciuti, di una checca indonesiana e del mio amico Berny che mi sembrava sempre più inesorabilmente scivolare nel baratro dell’alcolismo, dopo tutte le vicende e avventure dei Mesi passati; le sue parole, la sua presenza, il suo essere, i tutto, l’insieme, mi davano nuovo vigore e speranza.
Ci addormentammo cosi, parlando, amandoci in silenzio senza far l’amore, eravamo solo felici di stare insieme, ci sentivamo scuri e consapevoli che il tempo a venire, sarebbe stato il nostro.
Ci svegliammo entrambi verso Mezzodì mentre qualcuno stava bussando alla porta.
Controvoglia Tania si alzo, indossò il suo Babydoll di pizzo rosso e aprì la porta di appena uno spiraglio.
La sua amica e connazionale le porse due tazze di Caffè fumante e le due ragazze scambiarono sottovoce qualche parola sorridendo.
»Henk sta ancora dormendo.« Mi disse non appena la sua amica se ne era andata e ritornando accanto al letto, mi porse una delle tazze di caffè.
Bevvi quasi con avidità, ma avevo occhi solo per quella forma quasi mistica che intrappolata nel suo Babydoll trasparente si era seduta sul letto accanto a me.
Guardandola nella penombra della stanza, mi sentii quasi risvegliare da un lungo inutile letargo e mentre lei appoggiava la sua tazza sul comodino, accendeva due sigarette e me ne porgeva una, mi chiedevo in che diavolo di Mondo avevo vissuto tutte quelle passate Settimane e Mesi.
Restammo così per un poco, bevendo il caffè e fumando le nostre sigarette, guardandoci in silenzio, studiandoci, scrutandoci a vicenda come due belve pronte a scannarsi in un’infinita battaglia di Vita e di Morte di Amore e di Odio di gioie e dolori.
Ci osservavamo quasi in estasi, incapaci di pensare, di articolare, di decidere e di agire.
Il nostro momento era arrivato, questo lo sapevamo entrambi, eppure esitavamo, non eravamo impazienti, non volevamo aver fretta.
Il nostro insieme era troppo bello e sublime così com’era.
Eravamo insieme, sapevamo che ci saremmo amati, ma quasi avessimo lo stesso pensiero, la stessa paura che una parola, un movimento sbagliato anche l’inaspettato battito d’ali di una farfalla rompesse quell’incantesimo di reciproco desiderio e di comunione dei sensi, esitavamo.
Tania prese la mia sigaretta e la schiacciò nel portacenere assieme la sua.
Senza distogliere i suoi occhi dai miei si alzò e lascio il suo Babydoll scivolare ai suoi piedi, mi voleva e me lo faceva sapere in un modo così fantastico.
Venne accanto a me nel letto e con lei, con noi, s’immedesimò l’intero Pianeta, e nell’Universo c’eravamo solo noi due e nessun altro.
Come strappandoci senza pietà da una lunga estasi, qualcuno bussò di nuovo alla porta e questa volta Tania andò ad aprirla senza coprirsi.
Entrando nella Stanza sorridendo, la sua amica disse qualche cosa, e dal comodino si prese un paio di sigarette; io non osavo muovermi, nella mia Vita avevo conosciuto tante belle Donne, ma la vista di quelle due Veneri, accanto a me, nude e universali, era qualche cosa di veramente meraviglioso, di buono, di semplice e di lindo.
»È bello stare con te vecchio orso,« mi disse non appena la sua amica se ne fu andata via e Tania ritornò a letto accanto me.
Come la sera precedente mi si era rannicchiata accanto e aveva appoggiato la sua testa sul mio petto.
Stavamo li,
tranquilli e paghi, eppure come insaziabili belve fameliche e battagliere, già
bramavamo la nostra prossima battaglia, la nostra orgia smaniosa, la nostra
prossima comunione.
»Ora mi sento più sicura, vecchio orso, ora che tu sei qui con me non ho più paura. Martedì però ritorno in Russia. peccato che tu non sia venuto prima avremmo certamente passato delle belle ore.« Mormoro Tania mentre mi si stringeva ancora più vicino, rannicchiandosi, facendosi nella sua possente forza, piccola, piccola, come se stesse cercando un rifugio in cui nascondersi.
Sicuro, Tania aveva ragione, perché ero rimasto per tutto quel tempo solo a bordo di una nave quasi fantasma che mai più avrebbe ripreso in mare?
Avevo passato i miei giorni cercando con niente di riparare l’impossibile.
Avevo perso le mie giornate riempiendomi di Birra all’Alexandra Bar assieme a Berny che da diverse settimane ormai aveva preso la micidiale abitudine di prendersi un Metaxa con ogni birra che beveva, cosa che ormai lo portava ad una cassa di birra e a quasi una bottiglia di Metaxa al giorno senza dare segni di stanchezza.
»La vera ragione
per cui non ti cercavo è che la nostra differenza di età. Sono rimasto solo per
troppi decenni; ormai ho cinquant’anni, quasi il doppio dei tuoi, non credo
nemmeno di essere più capace di iniziare una relazione che indubbiamente
comporta tante responsabilità e non solo piaceri und poi avevo anche la
sacrosanta paura di innamorarmi di te; in un caso del genere mi sarei sentito
veramente indifeso e vulnerabile.« Risposi un po’ goffamente sperando che
capisca, baciandole i capelli.
»A volte voi Uomini, siete come dei bambini, a volte addirittura incredibilmente ingenui e non capite niente.« Rispose lei cercando di rannicchiarsi ancora più vicino a me.
»Ingenui o no ora ascoltami ben Tania,« -dissi mentre cercavo di pescare una sigaretta dal comodino- »lunedì mattina prendo il volo per Atene e da la per Amsterdam, se vuoi posso prenotare una stanza in un Albergo a Chania e stiamo insieme per tutta la fine Settimana, tu ritorni a casa il martedì, e puoi star in quell’Albergo, cosa te ne pare, ci stai?« Le chiesi sperando veramente che accettasse la mia offerta che era nata li, cosi, spontanea mentre la ascoltavo parlare.
Avevo appena finito di parlare che Tania con un piccolo gridolino di sorpresa, salto giù da Letto come una gazzella e a grandi falcate, comincio a camminare su e giù per la Stanza.
Era molto eccitata, lo si vedeva, parlando in russo, quasi danzando, camminava su e giù nella penombra davanti al nostro letto scandendo con le dita ogni parola nell’aria.
Cielo, quant’era bella, ormai conoscevo ogni millimetro di quella Dea dell’Olimpo che danzava davanti ai miei occhi.
Questa meravigliosa fanciulla, aggraziata di bellezza, aveva le capacità di risvegliare anche i morti, difatti volevo di nuovo rinchiuderla tra le mie braccia, stringerla a me; essere con lei e per lei, essere un’essenza con lei, per noi, perciò mi alzai e le andai incontro.
Mi vide e sorridendo si fermo davanti al davanzale della Finestra, sedendosi, »Spasiba Starij Medwed, staremo insieme fino a lunedì mattina.« Sussurro tirandomi a sé, e l’Universo ci assimilo ancora e esplose di mille colori con noi e solo per noi.
»Vieni Franco, portami via, andiamo via da qui, andiamo via da questa Casa.« Sussurro dopo un lungo di estasi.
Avevamo appena fatto il bagno e c’eravamo vesti, quando qualcuno busso di nuovo alla Porta.
Questa volta era Hank che sventolava il suo pacchetto di Sigarette ormai vuoto.
»Mi preparo una borsa e poi ti raggiungo al Bar di Alexandra.« Disse sorridendo Tania spingendomi fuori dalla porta mentre la baciavo di sfuggita sulla fronte.
»Ehi, ehi, che cosa sta succedendo?« Chiese Hank dopo aver visto la scenetta,
»Vieni Henk, andiamo a far colazione, al Bar ti spiegherò tutto.« Gli risposi porgendogli il mio Pacchetto di Sigarette.
Camminando verso l’Alexandra Bar gli spiegai cosa intendevo fare e pure lui convenne che era la cosa migliore che potevo fare.
Al Bar Hemk ordino due cappuccini e due panini al prosciutto e mentre Stella ci preparava la colazione, telefonai al nostro agente navale e chiesi alla sua segretaria di riservarmi una stanza per due persone in un Albergo a Chania e la pregai di cambiare il mio volo dal lunedì al martedì dandolo pure le indicazioni del volo che volevo prendere.
L’efficiente Signora non fiatò e dieci minuti dopo mi telefono al Bar dandomi le nuove direttive di volo e il nome dell’Albergo dove aveva prenotato fino al martedì seguente una camera doppia.
»Dimmi la verità Franco, ritornerai?« Mi chiese Henk dopo che avevamo fatto colazione in silenzio.
La domanda che mi fece così a bruciapelo non mi colse di sorpresa, anzi me l’aspettavo e per un momento prima di rispondergli lo guardai attentamente.
Lo osservai ordinare due birre, accendersi una sigaretta e guardare pensoso fuori oltre la strada nel piccolo giardino, dove i primi Marines in franchigia già sedevano sul prato e si stavano riempiendo di Birra e non sapevo cosa pensare di quest’uomo sulla quarantina.
Henk era olandese, padre di Famiglia, monarchico, amante della sua Patria e della famiglia reale, ma anche un contrabbandiere d’armi e probabile, manovale del terrorismo palestinese. Il miscuglio di vita civile e criminalità internazionale in quest’uomo era veramente esplosivo. Politicamente era neutrale, a lui interessavano solo soldi e basta. Avrei dovuto disprezzarlo, avrei dopo, sapendo che era anche incline a lavorare nel Mediterraneo di nuovo per tipi come Arafat e Gheddafi, gridarli in faccia tutta la mia rabbia e il mio sdegno. Questo pero non ero in grado farlo, non potevo biasimarlo, non potevo proprio perché ero io quello che cercava in tutti i modi di riparare la nave, per questo non potevo giudicarlo.
Difatti come lui era la manovalanza dell’alta criminalità internazionale, per lui, il manovale, il suo manovale, ero io.
Dovessi però voler trovare un argomento di difesa a mio, a suo, a nostro favore, guardandomi i Marines inglesi ubriachi vomitare gli orrori da loro visti nei Balcani sul prato del giardino di Sousa, ciò non mi sarebbe stato per niente difficile.
Il blocco navale era per me era un crimine contro l’umanità che aiutava solo i Serbi e i serbocroati a massacrare i Bosniaci; sono convinto che tutti hanno il diritto di morire difendendosi con un’arma in mano, anche i Bosniaci mussulmani hanno questo sacrosanto diritto
Solamente i bambini di questo Mondo erano in grado di dichiararlo colpevole.
Solamente i Bambini del Mondo potevano condannarci.
Solo i bambini della Iugoslavia, quelli D’Israele, della Palestina quelli dell’Angola o del Mozambico potevano accusarci e condannarci, ma non solo noi due, bensì tutti noi: noi cristiani, noi mussulmani, noi di ponente e noi di levante. Noi prigionieri delle luci delle nostre città, delle nostre avidità e lussurie, colpevoli sì, ma allo stesso tempo anche vittime, cacciatori e selvaggina, ma soprattutto al disopra di tanta inutile morte e distruzione, fautori e distruttori della nostra Storia a Cultura e tutto questo dannazione, mascherato dagli interessi di Stato o ragioni politiche, per pura e semplice avidità di potere e brama di denaro.
»Non lo so Henk, personalmente credo che a Rotterdam quando telefonerò, una voce mi dirà che l’operazione e stata rinviata, vedi; mi mandano a Rotterdam a organizzare quello che potrei benissimo trovare a Creta, qui non siamo nella giungla africana; la Grecia è una Nazione marinara, qui trovo tutto quello che mi serve, credo che si siano accorti che la nave non è adeguata, e tutti tirino i remi in barca, non saprei veramente cos’altro pensare.«
»Credi che la nave potrebbe fare un paio di traversate nel Mediterraneo?« Mi chiese pensoso.
»Certo, ma solo con il mare liscio come l’olio, altrimenti scordatelo, alla prima vera burrasca questa si spezza in due,« -risposi con convinzione- »questa nave è finita, scordatela.« Conclusi proprio quando Tania entrò nel Locale ed io dimenticando Henk e tutti i problemi del Mondo, mi alzai per andarle incontro.
Manco mezz’ora
dopo, dopo aver salutato Henk e il resto della Banda che nel frattempo erano
venuti pure loro al Bar, lasciato una buona mancia a Stella e aver preso un
Taxi fuori dal bar, con Tania andai a Bordo dove in cinque minuti buttai le mie
cose nella mia borsa e la raggiunsi di nuovo nel Taxi ci trovavamo sulla Strada
per Chania, verso una bellissima e lunga fine Settimana.
Andandomene via dalla nave mi accorsi che mi sentivo alleggerito come se qualcuno mi avesse tolto un macigno dalle spalle.
Certo che mi dispiaceva per Berny che presto avrebbe visto sfumare il suo sogno di comprarsi a fin ingaggio dei mobili nuovi, anche lui però come me aveva già in tasca il l’*ingaggio degli ultimi tre mesi e mezzo e pertanto almeno qualche cosa se la poteva comprare già.
Ero anche sicuro che anche se con molta probabilità ormai il suo cervello era annebbiato e un po’ leso dal troppo alcol, prima o poi avrebbe capito in che pericolo ci eravamo andati a cacciare e all’ultimo minuto scappati fuori per la cuffia.
Il vecchio Taxi ci mise poco più di un quarto d’ora ad arrivare di fronte all’Hotel Atlantic di Chania.
Come se avesse avuto paura di perdermi, Tania per tutto il tragitto dalla nave all’Hotel, mi si era rannicchiata accanto sul sedile posteriore del Taxi, aveva appoggiato la sua testa sulla mia spalla ed io quasi a rassicurarla le avevo messo un braccio attorno.
Bastò che alla recezione dicessi il mio nome e con un “Have a nice stay” una gentile Signora tutta sorridente e mi diede la chiave della nostra stanza al quarto piano di un palazzo quasi feudale.
La stanza si rivelò una piccola Suite dall’aria un po’ umida e stagna.
Tania con un gridolino di sorpresa accese subito il televisore del piccolo salottino e con il telecomando cercò un canale musicale, un M e qualche cosa di musica pop.
La stessa sorte la riservò, tenendo un volume da sottofondo anche al televisore in stanza da letto e subito la piccola ma molto ben arredata e accogliente Suite, prese a vibrare di vita e di suoni.
Decisa senza dire una parola, mentre io mi ero dato da fare ad aprire un poco le finestre e a mettere in moto il condizionatore climatico per cambiare l’aria delle due stanze e del bagno, lei aveva disfatto la sua borsa e riempito l’armadietto del bagno di una miriade di utensili, bottigliette e flaconcini, lascandomi pero sufficiente spazio libero per il mio rasoio, il dopobarba, lo spazzolino da denti e il dentifricio.
Fu nel bagno che per la prima volta dopo aver lasciato la nave ci guardammo in faccia e scoppiammo a ridere come due bambini scappati via da qualche parte dopo aver fatto una marachella.
Tania mi venne tra le braccia e abbracciandomi mi strinse con forza a se, »ci stiamo comportando come una vecchia coppia di sposi, ora mi sento ancora più sicura, peccato che tu parta lunedì.« Mormorò divertita.
»Questa mattina ha
fatto cambiare il mio volo, rimaniamo insieme fino ad Atene, voglio essere
sicuro che tu prenda il tuo volo per ritornare a casa.« Le risposi accarezzando la sua lunga
chioma.
Sentina la buona notizia cercò allora di stringermi ancora di più a sé e per un momento rimanemmo li, nel bel mezzo del bagno, abbracciati senza dire una parola, mi accarezzo la guancia di nuovo e senti la mia barba lunga di quasi due giorni.
»Ora però ti devi radere vecchio orso.« Disse ridendo scivolandomi via dalle braccia e uscendo canticchiando da bagno.
Un paio di minuti dopo sbarbato e rifrescato, uscii dal bagno e la vidi distesa sul letto addormenta, con il telecomando del Televisore in mano.
Le poche ore che avevamo dormito da lei erano troppo poche, difatti anch’io mi sentivo stanco, quindi chiusi le finestre e misi il condizionatore dell’aria solo in ventilazione, spensi i televisori, e mi sdraiai, accanto a lei e coprendoci con un leggero copriletto la guardai per un momento dormire.
Tania aprì per un momento gli occhi e sorridendomi mi si rannicchiò accanto e ci addormentammo insieme.
Mi svegliai un paio d’ore dopo e subito mi accorsi che oltre ad aver fame avevo pure sete.
Tania dormiva ancora tranquilla e manco mi sognai di svegliarla.
Dal Piccolo frigo-bar mi presi un succo d’arancia e ne bevvi la metà con avidità, poi sedendomi nel piccolo salottino mi accesi una sigaretta.Tania si svegliò a sua volta poco dopo mentre fumando in silenzio ancora incapace di pensare con coerenza la guardavo dormire.
Avevo la testa vuota, cercavo di ragionare ma non riuscivo a coordinate i miei pensieri.
Le esperienze dei Mesi passati, ma soprattutto le sensazioni delle ultime ore, il tutto mi aveva tolto quasi brutalmente dal mio abituale habitat mentale, catapultandomi in un Mondo quasi dimenticato dal quale ero quasi fuggito tanti Anni prima, rifugiandomi come un esule tra le onde del mare e nelle budella di una nave.
Mentre l’El Castillo con le sue magnane mi aveva ricordato non solo che la criminalità armatoriale, ma che anche il terrorismo internazionale per operare ha indubbiamente bisogno di uomini come Henk; Tania mi aveva ricordato che al Mondo esistono altri valori che quello dei soldi e del potere.
Lei si sveglio mentre seduto sulla poltroncina la guardavo dormire.
La vidi guardarsi in giro spaesata, forse cercando di ricordarsi dove si trovava, poi mi vide e balzando sorridendo giù dal letto venne a sedersi sulle mie gambe e prendendo la bottiglia del succo d’arancio ne bevve avidamente il resto.
»Ho sete e sono contenta di essere qui con te.« Mi sussurrò un orecchio.»Ho fame, che ne diresti di andare giù al Porto, ci sono dei bei ristoranti, cosa medici?« Le chiesi mentre lei accendeva la tv.
»Mi do una piccola rinfrescatina e poi possiamo andare, anch’io ho fame.« Mi rispose alzandosi.
La piccola rinfrescatina di Tania durò un suonato quarto d’ora, io ci misi due minuti, una lavatina ai denti, un’altra, stile gatto alla faccia, una spruzzatina di dopobarba e subito dopo, così rinvigorito, mi sentii pronto assieme a lei di poter conquistare il Mondo.
Lasciandoci semplicemente trascinare dalle luci della Città e tenendoci per mano, c’incamminammo senza fretta verso il Porto.
Strada facendo, Tania si fermava di fronte a ogni vetrina di negozio di abbigliamento e di scarpe.
Guardava tutto con calma, mi accorsi anche che si avvicinava alla vetrata fino a sfiorare con il naso, quasi volesse toccare tutto quello che vedeva in mostra dietro il vetro.
Le gioiellerie non le interessavano, e quando passammo davanti ad un negozio di abiti da sposa si fermo come colpita da un fulmine.
La pressione della sua mano nella mia si fece più intensa, con gli occhi spalancati rimase per un momento lì, a bocca aperta, quasi incredula e mentre guardava, affascinata da tutta quelle cascate di chiffon bianco e di seta, un velo di malinconia le si posò sul volto, poi quasi invisibilmente si scosse, la pressione della sua mano nella mia si allentò, e guardandomi sorridendo, mi trascino un po’ più in la, davanti ad un'altra vetrina.
Arrivammo al piccolo Porto di pescatori che in vista delle feste pasquali pulsava di vita come in piena stagione turistica.
Sentivo la gente parlare in tedesco e le pizzerie erano tutte piene di turisti affamati.
Trovai un Ristorante non proprio tipo pizzeria con una bella vetrina ben guarnita con del bel pesce e deciso, pilotai Tania verso uno dei tavoli posti sotto una bella pergola di piante sempre verdi.
Il Ristorante era il tipico mediterraneo a conduzione familiare, mandato avanti dalle donne di casa mentre gli uomini la sera prendevano il mare per pescare il pesce da vendere l’indomani, se non fosse stato per l’ambiente decorato stile antica Grecia, si potrebbe benissimo aver pensato di essere a Posillipo, in quel di Napoli.
Tania, dicendomi che le piaceva il pesce, mi aveva lasciato l’imbarazzo della scelta che alla vista di tutto il ben di Dio che il Locale aveva da offrire, non era cosa da poco. Rimasi con quella che per me, abituato al Fast Food olandese, o alla Cucina portoghese di Paco il cuoco dell’Hotel Algarve a Rotterdam era la classica cena mediterranea.
Ordinai pertanto un antipasto a base di insalata di polpo e altri frutti di mare, un misto di vongole al sugo di pomodoro e delle dorate alla griglia.Sperando di aver combinato bene le portate, come aperitivo scesi un analcolico, poi mi lasciai consigliare da cameriere per un bianco locale, secco e leggero e ci feci portare pure una bottiglia di acqua minerale.
»Mi piace essere qui con te,« -disse Tania guardando sorridente in giro per il locale e poi nel Porto che a quest’ora proprio perché i piccoli pescherecci erano tutti fuori. era quasi vuoto- »qui e molto meglio che a casa mia, da noi in Russia tutto è così buio e freddo e la gente beve troppo, qui i Ristoranti sono ben frequentai e non ci sono tanti problemi.«
»Siamo in una cittadina turistica e le festività pasquali sono alle porte, la maggior parte di questi clienti sono turisti piovuti dal nord e sta più che sicura che tutti loro hanno risparmiato tutto l’Anno pur di passare un paio di giorni di tranquillità lantana dai loro problemi,« -le spiegai- »domani andremo a mangiare in una piccola osteria locale, la vedrai con che semplicità e genuina naturalezza vive la gente del luogo e il tutto senza luci colorate e camerieri in livrea, anche a casa tua le cose miglioreranno e quando ti ricorderai di noi, mi darai ragione. Spero veramente che tu non ritorni più in occidente se non in ferie e che una volta a casa ricominci a studiare.« Dissi sottovoce.
»Capisco cosa mi vuoi dire, mi stai dicendo che pur quanto qui da voi si
possa avere d tutto, non tutti possono permetterselo, non è vero?« -annuii in
silenzio e mi accorsi che Tania stava ora veramente guardando con occhi critici
e non più curiosi in giro- »e mi vuoi anche dire che non devo ritornare ma
rimanere a casa, studiare e magari sposare il mio amico Andrej e che la smetta
di fare la puttana, non è vero, vecchio orso?«
»Ancora non sei una puttana, però se ritorni, sei persa, e questo sarebbe davvero un peccato.« Replicai guardandola negli occhi.
Il cameriere ci porto il vino e gli aperitivi, terminando per un momento la nostra conversazione.
Il Cameriere apri la bottiglia, annuso il tappo, si giro sui due piedi e ritorno scuotendo la Testa nell’interno del ristorante.
»Perché si riporta via il vino« chiese Tania incuriosita.
»Probabilmente il tappo odorava di aceto, tra poco ritornerà e ci porterà un'altra bottiglia.« Risposi invitandola ad assaggiare l’aperitivo
Il piccolo tavolo dove sedavamo, si ingrandì quando il cameriere ritorno spingendo davanti a sé un trolley con le nostre pietanze, c’è lo mise accanto e prendono una nuova bottiglia di vino la stappò e dopo aver di nuovo annusato il tappo, sorridente mi verso una prova nel bicchiere.
Soddisfatto, senza però saper che qualità di Vino stavo bevendo lo ringraziai con un cenno del capo lo invitai a riempirci i bicchieri.
Mostrandoci ciò che ci aveva portato poi, si accorse che ancora non avevamo né forchette con cui mangiare, né tanto meno piatti, mormorando un po’ impacciato qualche cosa in greco, riparti in quarta per ritornare subito dopo con il resto degli utensili per la cena.
Fu allora che Tania prese subito in mano la situazione, ringraziò il cameriere in tedesco e gli fece capire che a servire ci avrebbe pensato lei.
Risoluta prese il mio piatto e senza tanti preamboli lo riempi di vongole in umido, accanto poi mi mise un altro piatto con l’insalata di polpo
Nella Terrina accanto a noi la c’era tutto quello che il Mare Nostrum ha da offrire in merito, trovai anche dei datteri e anche sapevo che la loro pesca e vendita era proibita, ciò non mi dispiacque affatto.
Dopo averla assaggiata, le feci notare che la salsa era molto piccante, per tutta risposta porgendomi il piatto sorridendo, lei mi disse che sua nonna era ungherese.
Era un vero piacere osservarla mangiare, sembrava elettrizzata, gioiosa e rilassata allo stesso tempo.
Ormai non era più la giovane ragazza animatrice di Bar che passava le serate con i Marines della Nato, in franchigia.
Assolutamente no, Tania emanava un non so che di spensierata fiducia e sicurezza e si comportava come tutte le giovani donne di questo Mondo che si sentono sicure e protette.
Così, mentre io quasi mi saziavo in lei nel vederla mangiare serena e non
era neanche arrivato alla metà del mio Piatto, lei si stava con buona lena
servendo ancora una volta.
»Queste,« -disse pescando furtiva e sorridente un dattero dal mio piatto- »mi piacciono più di tutte.«
Golosamente si pesco fuori tutti i datteri dal mio piatto e quelli nella terrina e se li mangio tutti.
»Dawai starij medwed, mangia ancora qualche cosa, altrimenti questa Notte muori.« Mi disse sorridendo; guardandomi con quei suoi occhi e quello sguardo capaci di resuscitare Lazzaro.
Battei accondiscendo in silenzio le mie mani e poi riempi di nuovo i nostri bicchieri con il buon vinello bianco che il cameriere ci aveva consigliato.
»Vedi di non ritornare mai più da queste parti Tania, non farci uno sgarbo simile sei troppo preziosa per perderti,« Le mormorai dopo aver bevuto.
»Sei veramente in pensiero per me non è vero Franco? «
»Martedì voglio vederti su quel volo per casa, tua e spero proprio che tu non ritorni più se non in ferie.« Risposi con fermezza.
»Andrej non saprà mai la vera ragione perche mi potrà sposare cosi presto, la vera ragione sei tu Franco, sei stato tu a convincermi, il mio periodo selvaggio finisce con te, a casa voglio solo studiare avere una famiglia ed essere madre.« Mi rassicuro con convinzione.
»Allora lo choc con un vecchio orso come me è servito a qualche cosa.« Le
risposi raggiante.
Manco avevo finito di parlare che Tania prendendomi attraverso il tavolo per entrambe le mani, sollevando indietro il capo con quella sua chioma che come una cascata d’oro le guarniva la testa, scoppio in una fragorosa risata cosi sincera e cristallina che tutti i clienti sulla veranda si voltarono diverti ad ammirare quella giovane donna che poteva ridere in un modo così spontaneo e sereno.
Alla fine, verso le undici avevamo bevuto tre bottiglie di Vino e diversi caffè
espresso con Metaxa e prendemmo un Taxi per ritornare in Albergo, volevamo solo
starsene soli, lontani dal Mondo e dalla Gente.
»Voglio essere tua, anche se staremo insieme solo per soli pochi giorni, non ti dimenticherò mai.« Mi disse Tania mentre dopo un lungo bagno, mi abbracciava nel nostro letto, e la notte ci separò dal resto dell’umanità e dal Mondo rendendoci invulnerabili al male.
L’indomani dopo una lunga e tranquilla colazione nel ristorante dell’albergo, uscimmo poco prima di mezzogiorno.
Quella bella giornata un cielo terso e un venticello tiepido che soffiava dal mare, ci invogliava a esplorare questa antica Città la cui storia risaliva ai tempi della magna Grecia.
Andando verso il porto, in una bancarella avevo comprato un piccolo mazzo di fiori per la segretaria della nostra agenzia marittima. Volevo così ringraziarla per la sua cooperazione dei mesi passati e vedere cosa l’agente ne pensava di questa nuova evoluzione attorno all’El Castillo.
Il caso ci risparmiò la ripida strada verso l’agenzia, difatti passammo davanti ad un Caffè -Bar, proprio mentre l’agente stava uscendo.
»Buongiorno Chief, volevo oggi telefonarle in Albergo, avrei bisogno di parlare con lei, me lo concede un minuto di tempo?« Mi salutò mentre con un cenno del capo salutava anche Tania.
Tania ricambiò il saluto e dicendomi che voleva scegliersi un paio di cartoline ci lascio soli mentre ci sedevamo a uno dei Tavolini sulla piccola terrazza del Bar.
»Se fosse al mio posto, come si comporterebbe, cosa ne farebbe lei della nave Chief.« Mi chiese così a bruciapelo come era suo solito parlare.
»Aspetterei, rimarrei seduto nel mio Ufficio ad aspettare. Questa nave non può più andare da nessuna parte se non in un cantiere di demolizione. Grazie ai Certificati di Navigazione che un incosciente a Cabo Verde ha rilasciato in nome della Lloyd’s Register of Shipping, le farei fare, dopo averla ben assicurata, un unico viaggio carica di blocchi di marmo da Kavallas e la manderai poi a navigare diritta in fondo al Mare Nostrum. Voi greci siete maestri in questo, sicuramente lei conosce un buon P&I e un altrettanto buon assicuratore navale e poi basta un forte calcio allo scafo nella stiva, per aprire una falla e l’equipaggio avrebbe pure tutto il tempo del mondo per andare nella scialuppa, potrebbe pure tenendosi a debita distanza scattare delle belle foto.« Risposi ridendo sornione.
»Quanto sarebbe disposto a pagare per una nave simile,« Mi chiese ancora quasi inquisitorio.
»Trenta mila dollari sarebbero quasi cinque di troppo, penso però che non pagherei un centesimo di più. La nave da lì non può muoversi se non per andare in demolizione, quando le sue spese d’agenzia hanno raggiunto una certa somma, ci metta la mano sopra e la nave è sua,« -risposi, mentre Tania ritornando si stava sedendo accanto a me- »prenda questi fiori per cortesia, li volevo dare alla sua gentile segretaria per ringraziarla della sua efficace cooperazione, glieli dia lei, mi risparmia cosi la ripida scala Strada fino al suo ufficio.« Dissi poi sorridendo.
L’agente prese in consegna il mazzo di fiori e lasciando qualche Dracma sul Tavolo, ci salutò e si incammino con passo spedito verso il suo Ufficio ed io chiamai il cameriere e ordinai una birra per me e un succo d’arancia per Tania.
Andammo poco dopo in giro per la Città, così senza meta, guardando le vetrine e la gente per strada e alla fine trovai ciò che veramente cercavo.
»Che cosa voliamo qui?« Mi chiese Tania sorpresa quando la pillottai dentro un negozio di abbigliamento femminile.
»Trovare qualche
cosa di bello per te, cosa preferisci, un vestito o una combinazione jeans.« le
chiesi sorridendo.
»Jeans allora, i vestiti me li so cucire da sola, me lo ha insegnato mia nonna.« Mi rispose mentre raggiante si guardava in giro.
Sapeva esattamente
quello che voleva e quando la vidi uscire dalla cabina di prova in una
combinazione di Jeans e giacca bianca rimasi di stucco.
Tania per tutta risposta, sfavillante di felicità mi diede un bacio su di una guancia, emise un grazioso e lieto gridolino di sorpresa, si impossessò dei jeans e sparì nella cabina per provarli.
Uscimmo dal negozio con due borse per mano dove avevano trovato posto oltre alle combinazioni di Jeans, anche tre camicette e un paio di scarpe Italiane a mezzi tacchi, ci incamminammo verso il nostro Albergo non senza aver prima aver preso un aperitivo in un Bar.
Sarei rimasto seduto al banco del Bar ancora un poco, magari mentre Tania si sarebbe presa un altro analcolico, ma lei era impaziente e decisa a riprovare i nuovi vestiti e così rientrammo subito in Albergo.
Tania riprovò tutto un'altra volta, combinando i vari pezzi e colori in una buona mezz’ora, provò e riprovò tutte le varie combinazioni possibili, con le camicette e con delle magliette che aveva con sé nella borsa, alla fine paga del risultato, mi si sedette con il solo slip addosso, in grembo e paga della sua piccola rassegna di moda, si accese una sigaretta.
»A casa dovrò stare molto attenta che mia sorella non mi freghi tutto, lei ha due Anni meno di me, e quando si mette in testa di volere qualche cosa, sa diventare una vera strega, ancora peggiore che un mal di denti, prima la farò andare un po’ in bestia, poi le lascerò usare i jeans rossi, che vanno benissimo con i suoi capelli e le sue lentiggini, così che sembrerà un vero e proprio gamberetto,« -mi spiegò ridendo- solo le scarpe, quelle se le deve scordare.« Aggiunse baciandomi furtiva sulla guancia.
I pochi giorni che passammo insieme volarono, andavamo in giro per la Città, mangiavamo nel nostro piccolo ristorante al Porto, la portai pure a mangiare nella piccola Osteria di pescatori, ma le ore passavano sempre troppo veloci.
Quella domenica mattina poi Tania mi sorprese e di non poco dicendomi che dovevamo andare in Chiesa, e quando lei ricordai che erano appena le nove del Mattino e le chiesi che cosa ci andavamo a fare in Chiesa, decisa mi tirò giù dal letto ricordandomi che era domenica e per questo dovevamo andare a Messa. Così quel dì sui banchi di una Chiesa Greco-Ortodossa, una Donna Russo-Ortodossa e un marittimo cristiano si trovarono riuniti in preghiera.
»Però non chiedermi anche di andare a confessarmi.« Le sussurrai in un orecchio, lei per tutta risposta mi rifilo una piccola gomitata nelle costole e io stetti zitto.Quel giorno pranzammo nel Ristorante dell’Albergo, che stando al menù esposto nell’ascensore e in camera prometteva una buna cucina e difatti le nostre aspettative non furono per niente deluse.
Solamente verso sera uscimmo nuovamente a cena nel Porto, ma rientrammo subito in Albergo.
Eravamo insaziabili di noi e non potevamo stare a lungo l’uno senza l’altra, eravamo insaziabili e mai appagati di noi stessi.
Il nostro ultimo giorno insieme per me cominciò con un piccolo choc, svegliandomi versi le nove del mattino, dovetti pensare un momento per ricordarmi dove mi trovavo, ma Tania non c’era, accanto a me, al suo post, ben in vista c’era un foglio di carta, dove Tania mi spiegava che era andata a Sousa a prendere la sua Valigia e che sarebbe ritornata prima di mezzogiorno. Ritornò verso mezzodì proprio quando uscivo dal bagno dopo una doccia veloce; lei mise la valigia in angolo, appese fuori dalla porta in cartellino, “ non disturbare” e mi venne tra le braccia.
»I tuoi amici di bordo ti salutano e sperano che tu ritorni presto, oggi però non andiamo da nessuna parte, ci facciamo portare da mangiare in camera e staremo tutto il giorno a casa.« Mi sussurro venendomi tra le braccia.
Verso sera tardi ordinai al Ristorante dell’Albergo due Pizze e una bottiglia di Vino.
L’indomani uscimmo solo per il pranzo nel piccolo ristorante giù al Porto ma ritornammo subito in Albergo. L’ultima serata insieme la passammo così, tranquilli come fratello e sorella.
I pochi giorni che avevo potuto passare con lei mi sembravano quasi fiabeschi.
Ero consapevole che le nostre strade si sarebbero divise, che dovevano dividersi, mi rammaricava però il fatto di non avere la forza di fermare il tempo e di tenerla ancora con me almeno per un altro poco, volesse il cielo un solo giorno ancora, magari solo un’ora forse.
La vita ci aveva uniti e la stessa ora ci separava.
Quando l’indomani mattina prima di andare all’Aeroporto volevo pagare il conto mi dissero che l’agente avrebbe provveduto a saldarlo e che ci augurava un buon viaggio.
Poco prima in camera avevo messo in una busta cinquecento Marchi, Tania non li voleva e li prese con una lacrima negli occhi solo quando le spiegai che quei soldi erano per il suo abito nuziale.
Il volo per Atene fu corto e tranquillo, e appena arrivati l’accompagnai subito al Controllo Passaporti dove il nostro addio, quasi avessimo paura di non volerci lasciarci andare, fu semplice, veloce e sbrigativo,
»Non ti dimenticherò mai vecchio orso.« Mi sussurrò Tania in un orecchio mentre mi abbracciava per l’ultima volta.
»Nemmeno io ti dimenticherò Tania,« -le risposi, baciandola su di una guancia- »anch’io non ti dimenticherò finche campo.« Aggiunsi non proprio sicuro della mia voce.
L’ultima cosa che vidi di lei era la sua chioma si perdeva tra la folla.
Quella era Tania, la mia Tania che con passo sicuro andava incontro a nuova Vita dove non ci sarebbe stato più posto per Mama-san o vecchi orsi come me.
Il mio volo per Amsterdam parti poche ore dopo e mi sembrò durare un’eternità. mi sentivo vuoto, senza linfa, ben sapendo che stavo di nuovo andando incontro a un incerto futuro mi sentivo quasi spento e volevo solo richiudermi in un Bar e non pensare.
Quella Sera a Rotterdam dopo una piccola capatina dal mio amico Kelly nel suo Bar “´La Grotte” mi rintanai di bon ora dopo una frugale cena nel bar dell’Hotel Algarve nella mia camera, mi sentivo stanco e frastornato, volevo solo dormire e non pensare a nulla.
Tania mi aveva veramente scosso, mi aveva ricordato che al Mondo esistevano altre cose che mari e navi, altri valori, altre sensazioni e molto più profonde di una fottuta nave; senza di lei mi sentivo quasi indifeso e a disagio, prima di addormentarmi le augurai ancora una volta tutto il bene del Mondo e mi assopii.
L’indomani mattina, marciai dritto nell’Ufficio Internazionale di Ingaggi
Marittimi per chiedere al bravo Signor Jan se per caso stesse dando i numeri e avesse
saputo dove diavolo mi aveva mandato.
Cadendo dalle nuvole si prese degli appunti fece un paio di telefonate e dopo avermi assicurato che manco se lo sarebbe immaginato una cosa del genere, mi assicurò che i suoi superiori avrebbero inoltrato la questione a chi di dovere, poi, dicendomi che l’imbarco sarebbe avvenuto tra una decina di giorni, mi propose subito un'altra nave
Volevo rientrare a Bremen, invece accettai la MN Condor assaporando già la prossima avventura.
Il Parco in quella giornata di Sole era già tutto in fiore, lungo la lunga
Torre che lo sovrastava qualcuno aveva scritto “For as long as it Last” e questo
mi sembrò di buon auspicio, con allungai il passo, me ne andai al “La Grotte”
dove assieme agli angeli delle note di Kelly, volevo attendere la mia prossima nave.
Fine.
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